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Solennità di San Giusto martire, Patrono della Diocesi e della Città di Trieste

 
 

DIOCESI DI TRIESTE


Solennità di San Giusto Martire


✠ Giampaolo Crepaldi


Cattedrale di San Giusto, 3 novembre 2020



Eccellenza Sig. Prefetto, Sig. Sindaco, amici fraterni delle Chiese e Comunità ecclesiali, distinte Autorità civili e militari, cari presbiteri, diaconi, consacrati e consacrate, fratelli e sorelle, bratje in sestre!

1. Pur condizionati da una serie di dolorose restrizioni a causa della pandemia in corso, anche quest’anno siamo riuniti nella nostra Cattedrale a rendere il dovuto ossequio di amore e di devozione al martire San Giusto, venerato Patrono della Città e della Chiesa di Trieste. E anche quest’anno siamo disponibili a fare nostra la lezione di vita che il santo martire offrì con l’offerta a Cristo della sua preziosa esistenza. Infatti, con il suo esemplare martirio, cercò unicamente Gesù Cristo, decise di essere di Cristo e di soffrire per Cristo. Il suo martirio fu il riflesso della morte e resurrezione del Signore Gesù, dando espressione in questo modo ad un profondo convincimento della fede cristiana: non sono la sofferenza e la morte ad avere l’ultima parola, ma l’amore. Santa Felicita, una martire contemporanea di San Giusto, poco prima del suo martirio al carceriere che la interrogava su come avrebbe retto la sofferenza davanti alle belve, diede questa singolare risposta: “In quel momento vi sarà in me un altro che soffrirà per me, perché anch’io mi dispongo a soffrire per lui” (Passione di Perpetua e Felicita XV,6). Lui per me, io per lui: il linguaggio è quello della relazione e dell’amore. Per il martire cristiano, la passione del soffrire è assunta nella passione dell’amare.

2. Bratje in sestre, la passione del soffrire assunta nella passione dell’amare – quella che San Paolo VI espliciterà con la fortunata espressione civiltà dell’amore – fu la base su cui il cristianesimo edificò la nostra impareggiabile civiltà. La passione del soffrire assunta nella passione dell’amare deve restare anche oggi il punto di riferimento essenziale per affrontare le tante, dolorosissime e inedite sfide che abbiamo di fronte: la crisi del Covid-19, le misure sanitarie che stanno colpendo irrimediabilmente la nostra economia, il pericolo incombente di disordini sociali, l’indebolimento della famiglia naturale e dei costumi morali sul piano individuale e pubblico, gli attacchi e le profanazioni dei luoghi di culto, il diffondersi di un islamismo radicale e violento che è ritornato in scena alcuni giorni fa nella cattedrale di Nizza e ieri a Vienna. È come se la civiltà dell’amore, con i suoi valori e principi cristiani e di legge naturale, che ha costituito la colonna portante della civiltà occidentale, rischi seriamente di implodere per sempre. La passione del soffrire assunta nella passione dell’amare che San Giusto ci ha lasciato in eredità e che è giunta fino a noi con il nome nuovo di civiltà dell’amore deve riprendere ad essere l’ancora a cui aggrapparci per mettere in salvo il nostro destino e quello dei nostri posteri.

3. Carissimi fratelli e sorelle, la passione del soffrire assunta nella passione dell’amare che San Giusto ha lasciato come preziosa eredità soprattutto alla Chiesa e alla Città di Trieste ci devono far aprire gli occhi – occhi solidali e amorevoli – verso alcuni “nuovissimi poveri”. Molte in questa città erano le persone – a servizio, collaboratrici familiari, badanti, la categoria dei cosiddetti operai generici – che, senza attendere la formalizzazione di un contratto di lavoro, si accontentavano di guadagnare la giornata con dei salari irrisori, privi di qualsiasi tutela, pur di portare a casa il minimo per sopravvivere. Ora, a seguito delle chiusure di molti esercizi e soprattutto dell’impossibilità di recarsi nei luoghi dove abitualmente operavano a servizio di numerose famiglie, sono rimasti senza lavoro, senza alcuna previdenza e senza denaro per la quotidianità. È un fenomeno nascosto, silenzioso, che certamente non giunge agli onori delle cronache, ma che di fatto ha creato molti nuovissimi poveri che non hanno altro modo per sopravvivere se non di rivolgersi alla nostra Caritas diocesana, alla sua mensa, oppure di chiedere un aiuto economico. Sono certo che la nostra Città – Istituzioni, organismi della società civile, persone di buon cuore – farà di tutto per accorciare la forbice che segna distanze non tollerabili tra coloro che possono, peraltro sempre meno numerosi, e coloro che non sono in grado, purtroppo in crescente aumento. Al martire San Giusto affidiamo la nostra Chiesa e la nostra Città e gli chiediamo la grazia di testimoniare la passione del soffrire assunta nella passione dell’amare.