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Paolo VI. Parole ai presbiteri

 
 

Prefazione

Di cosa hanno bisogno oggi i preti?
Anche se i fedeli sono diminuiti, non sono diminuite le attese o le pretese.
Molti, che frequentino o no la vita delle comunità cristiane, hanno una loro immagine del prete, hanno una loro immaginazione su quello che i preti fanno e di quello che dovrebbero fare. Per combinazione questo immaginario non coincide mai con il prete che hanno di fronte: trae la sua origine dai fatti di cronaca oppure dalla letteratura e dai film, oppure da ricordi d’infanzia rielaborati della creatività mitologica della memoria. Perciò i preti concreti si sentono investiti dalle peggiori accuse, per difetti e delitti in cui non riescono a riconoscersi, oppure si sentono destinatari di attese come se fossero tenuti ad essere onnipotenti, onniscienti, onnipresenti. Non meraviglia che si diffonda quel grigiore un po’ rassegnato e un po’ risentito che si chiama malumore: le aspettative deluse, la contestazione dei pregiudizi, le prestazioni insoddisfacenti danno origine a elenchi interminabili e noiosissimi dei “dovreste fare, dovreste pensare, dovreste sapere, dovreste andare …!”.
Neppure i Vescovi risparmiano appunti all’elenco dei “si deve” e quindi, specie quando si trovano tra loro, si esercitano a elaborare percorsi educativi più adeguati, eventualmente prolungando gli anni di seminario, moltiplicando le esperienze, sfiancando l’entusiasmo e la buona volontà di qualche giovane che si affaccia al seminario con numeri sconcertanti di esami, scadenze incalzanti di date, richieste insistenti di verifiche. Di quante competenze, conoscenze, avvertenze hanno bisogno i preti di questo tempo!
Non è detto che i preti non ci mettano del loro per lasciare a desiderare, per far emergere nell’esercizio del ministero più gli aspetti spigolosi del carattere che i tratti amabili del buon pastore, nel dire parole logorate dall’inerzia più che la parole consolanti come la rugiada del mattino, le parole incisive come la spada tagliente, nel pretendere un ruolo d’altri tempi piuttosto che servire con modestia e sacrificio.
Ma don Ettore Malnati ha pensato che i preti abbiano bisogno delle parole del Santo Papa Paolo VI e perciò offre questa antologia di discorsi.
Leggendo questi testi, sempre così intensi e accurati, mi sono confermato nella persuasione che i preti abbiano bisogno d’altro, rispetto a quello che si raccomanda o si pretende.
I preti hanno bisogno di stima. Esprimono il meglio di sé non quando sono tesi e guardinghi per difendersi dalle critiche, ma, come tutti gli umani, quando avvertono intorno a sé l’atteggiamento benevolo che apprezza la loro presenza, che riconosce l’essenziale della loro missione. Le parole di Paolo VI si possono forse anche riassumere così: una lunga, convinta, commovente attestazione di stima per i preti a cui si rivolge.
I preti hanno bisogno di rassicurazione. Il logorarsi del prestigio che la società riconosce, la molteplicità scomposta delle pretese della gente, la alluvione di accuse e insinuazioni che traggono argomento da confratelli indegni per screditare tutto il presbiterio rendono insicuri, alimentano l’impressione di essere funzionari impopolari di una istituzione impopolare, promotori di un prodotto che non ha mercato. Negli anni successivi al Concilio Vaticano II una delle questioni diffuse riguardava la questione generica sulla “identità del prete” (o del sacerdote, come preferiva dire Paolo VI). E le parole ai presbiteri di Paolo VI offrivano la rassicurazione dei contenuti fondamentali della dottrina tradizionale della Chiesa. Oggi altri fattori rendono insicuri e problematici i preti. Credo però che le parole di Paolo VI contribuiscano anche oggi ad offrire rassicurazione indicando le fondamenta solide di una vocazione e di una missione che non possono certo immaginarsi storie di successi, di facile popolarità, di applausi universali. Eppure le radici evangeliche, la relazione personale con il Signore Gesù, la compassione per la gente alla quale sono destinati, la esperienza della pienezza di umanità che si trova nel fare della vita un dono sono parole che fanno bene e offrono le buone ragioni per affrontare con fortezza e serenità il ministero per il nostro tempo.
I preti hanno bisogno di correzione, amorevole, autorevole, ferma e chiara. Abituati a parlare da una posizione che non ammette interruzione o contestazione, il prete rischia di pensare di avere sempre ragione. Immerso fino allo sfinimento nelle iniziative, nella organizzazione, nelle relazioni entro gli spazi ecclesiastici, il prete rischia di immaginare che il mondo finisca dove finiscono le mura della parrocchia. La consuetudine a decidere negli ambiti di competenza con una procedura in sostanza inappellabile, anche se spesso criticata e talora francamente criticabile, espone il prete al rischio di abusare del ruolo e di strumentalizzare le persone. Richiesto di parlare tanto spesso, il prete è esposto alla tentazione di una fretta che non sa ascoltare, di una certa ripetitività che non si lascia istruire né dai libri né dalla vita, né dagli incontri. È quindi opportuno offrire ai preti parole che possono essere ricevute come spunti per una correzione. Paolo VI si fa ascoltare perché si capisce che le sue parole vengono da un affetto vero, da una stima convinta e da una trepidazione fondata per la vita e il ministero dei preti.
I preti, credo, hanno bisogno di molto altro, anche se io devo dire che ho sempre avuto più da imparare che da insegnare, più da ricevere che da dare nel rapporto con i preti.
Nelle parole di Paolo VI si trovano però risposte al bisogno di stima, di rassicurazione e di correzione: può quindi essere un buon servizio questo libro composto per celebrare il centenario della ordinazione presbiterale di Giovanni Battista Montini.


✠ Mario Delpini

Arcivescovo di Milano


9 aprile 2020 – Giovedì Santo