Stati Generali dei Servizi Sociali del Comune di Trieste
Famiglia di famiglie. La reciprocità e la generosità ci salveranno
✠ Enrico Trevisi
23 maggio 2025
In questo momento nei miei occhi e nel mio cuore ci stanno le tante famiglie con cui ho camminato e che mi hanno insegnato, dentro le loro debolezze e criticità feriali, la gioia del volersi bene e dell’aiutarsi reciprocamente. Famiglie normali, non indenni dai fallimenti, eppure che ritrovavano le energie per affrontare l’imprevedibile di ogni giorno, potendo contare l’uno sull’altro. Anche se talvolta gli interrogativi e le sofferenze mettono molto alla prova (e ci sono tragedie come la morte di un figlio, il tradimento del coniuge… che hanno esiti inimmaginabili) poi ci sono presenze (come quella dei piccoli, la circolarità della vita che rinasce) che rigenerano speranza e vigore. Nei miei occhi sta questo cumulo di esperienze, legami, relazioni. Vissuti concreti.
Quando parliamo di famiglie possiamo dare tante definizioni. Ed evidentemente per me ci sono riferimenti all’antropologia cristiana che però rimane una tensione viva a rileggere non solo il dato biblico e teologico ma anche i vissuti e il mutare dell’ethos e con le sue criticità. Non voglio addentrarmi in questa via che richiederebbe troppo tempo. Mi limito in questo contesto a cogliere la famiglia come l’insieme di persone che stabilmente si prendono cura l’una dell’altra, in una reciprocità (che spesso ha anche espressioni intergenerazionali) che eccede la misura del calcolo e dell’utile. Si tratta dunque di uscire dalla rilettura funzionale per accedere alla dimensione del senso, dell’esistere, delle domande più profonde che risiedono nella nostra coscienza. Le relazioni di coppia e di famiglia – e magari a maggior ragione nelle esperienze di crisi - hanno a che fare con la domanda sulla felicità e sul sacrificio, sulla dignità mia e degli altri, e anche sul senso della vita e della morte. Tutti cerchiamo la felicità (pensiamo ad Aristotele, a Tommaso…) ma facciamo esperienza del limite, delle risposte inadeguate, degli abbondanti fallimenti.
In famiglia non si tratta del prendersi cura come fa l’infermiere con l’ammalato: nella cura di un familiare per un altro familiare ci sta un investimento etico ed emotivo (vorrei dire spirituale, mistico, ma su questo ritornerò) nell’arcobaleno delle più svariate e contraddittorie situazioni, responsabilità, e dirompenti emozioni.
C’è un prendersi cura che non è motivato dallo stipendio, dall’ordinamento giuridico, ma da una libertà che si consegna e che ama… e che poi diventa un accadimento e un legame. E così nasce una coppia, una famiglia, legami che restano impressi nella psiche, nella storia di ciascuno. Quello è tuo figlio, tuo nipote, tua nonna… e quel riconoscimento è già un legame, una responsabilità, una domanda che mi è posta e da cui non posso evadere.
L’attenzione però va richiamata anche sui legami inter-familiari, per cui ogni famiglia si origina a partire da altre famiglie e deve trovare una sua identità originale che si stacca dalle famiglie di partenza, pur rimanendone segnate, condizionate, legate (in bene e in male). Guai ripetere semplicemente i modelli di partenza e a non riconoscere che la prima generazione a cui una coppia è chiamata è quella della coppia stessa, del proprio modo di dialogare, affrontare i conflitti, prendere decisioni, elaborare progetti, accettare i difetti, gestire i limiti, vivere le inevitabili sofferenze… ogni coppia parte dal DNA di ciascun partner che rimanda ai genitori/suoceri ma poi deve ridefinirsi in modo proprio. Anche dentro la propria cultura, l’ethos sempre in cambiamento, le proprie attività lavorative, l’originalità delle rispettive libertà.
E tuttavia i legami tra le famiglie non si esauriscono solo con quelle di origine ma - anche per la complessità e varietà delle relazioni – si aprono alle famiglie degli amici, dei compagni/amici dei figli, a quelle con cui si condividono esperienze e passioni. Anche qui il tranello è la rilettura puramente funzionalistica, utilitaristica: tali legami sembrano rispecchiare solo la razionalità dell’utile, della risposta ai bisogni, che certamente ci sono e che nelle reti tra famiglie trovano spesso una traccia, una risposta positiva (di soluzione o perlomeno di gestione dei problemi). Per esempio l’aiutarsi per accompagnare i figli a scuola o agli allenamenti; oppure nel condividere linee educative con altre famiglie (per cui si fanno esperienze insieme, esempio le vacanze oppure in oratorio). Tuttavia la relazione tra famiglie se si riduce al piano utilitaristico si impoverisce: essa invece deve allargarsi aprirsi al senso di sé, alla responsabilità di sé davanti all’altro / agli altri. Per fare un esempio l’educazione dei figli esige che una famiglia si allei ad altre famiglie e istituzioni (esempio la scuola, l’oratorio, la società sportiva…). L’emergenza educativa che ci pone davanti tanti ragazzi e giovani fragili, ansiosi, aggressivi… chiede ad ogni famiglia di porsi in una rete educativa. Solo insieme, costruendo alleanze si possono affrontare le tante criticità che inevitabilmente si incontrano.
In questa crescita e maturazione del senso della propria vita e delle proprie responsabilità si può accedere anche ad una dimensione spirituale che allarga, che inizia ad una donazione di sé (come individuo, ma anche come coppia) che diventa linguaggio per comprendere il mistero divino. Il mistero di un amore e di una cura che non sono capiti, che non sono corrisposti e che tuttavia rimangono fedeli, fino al sacrificio di sé… in un’attesa che spalanca ad altri orizzonti. Anche la criticità apre alla ricerca spirituale.
Lo spandimento, l’allargamento di senso della propria identità di persona (e poi del proprio essere famiglia) nella relazione con altre persone (e con altre famiglie) nella forma di una reciprocità di arricchimento di senso e di una generosità che supera l’angusto calcolo utilitaristico costituiscono un tesoro prezioso. Sono la strada, l’esperienza da percorre per uscire dall’isolamento delle famiglie e dalla deresponsabilizzazione della cura.
Nelle tante stagioni differenti della vita familiare c’è sempre il pericolo prima o poi di cedere alla tentazione del calcolo, del fare il bilancio se ne vale davvero la pena quel prendersi cura dell’altro che talvolta appare eccessivo (ed ecco il pensiero del tradimento del coniuge, ma poi anche la crisi del rapporto genitori-figli, l’abbandono dei genitori anziani, la non accettazione della fragilità del figlio disabile…).
Questa tentazione del calcolo è molto umana ed oggi è assai precoce nella vita dei giovani. E può portare alla chiusura alla generatività: l’inverno demografico è dovuto a tante ragioni, ma anche a ragioni culturali-esistenziali. E così non si coglie il senso del fare sacrifici per i figli e non si coglie che quella generatività è arricchimento al senso della propria umanità e apertura ad una responsabilità che alimenta la gratitudine per la vita ricevuta, e dunque relazioni intergenerazionali e sociali più mature.
Per questo parlo di una reciprocità che deve essere generosa, aprirsi ad un dono che non mira al continuo calcolo delle entrate e delle uscite. Una generosità nello spendersi che è preludio a dar fiducia all’altra persona (il coniuge, il figlio, il genitore, l’altra famiglia) che a sua volta quando potrà, quando saprà risponderà anch’essa alle mie aspettative. Ma se questi soggetti non potranno, se non sapranno rispondere alle mie aspettative in ogni caso proseguo perché essi mi introducono nella comprensione di altre dimensioni esistenziali, una forma sublime dell’amore che ha qualcosa di divino, di mistico, di sacrificale: avere qualcuno per cui mi sporgo gratuitamente nel dono di me stesso, nel mio prendermi cura di un’altra persona che è amata (il coniuge, il figlio, il genitore, il nipote) anche quando non riesce a ripagare le mie attese.
Pensiamo a come l’amore genitoriale tante volte è ferito dalla inadeguata risposta del figlio (che pare sprecare le proprie possibilità). Ma la stessa cosa può essere anche nella relazione di coppia. Eppure questa donazione di sé, anche nella forma di un amore tradito ma che rimane perseverante e fedele, diventa linguaggio per parlare di Dio e della sua incondizionata cura per noi. La chiamiamo divina misericordia. Diventa linguaggio per dire di un amore vero che non è semplice scambio mercenario, ma allude ad un amore che va oltre la morte e che dà significato anche all’attesa e perfino al lutto. Come di un presagio che spalanca al trascendente, all’eterno. Ad una speranza che non delude.
E la Chiesa cerca di essere questo: una famiglia di famiglia in cui queste domande e questi legami ci intrecciano e ci responsabilizzano. E per questo anche i figli degli altri, gli anziani degli altri, i disabili e i fragili… diventano parte di una grande famiglia che senza deresponsabilizzare altri legami (familiari e sociali) ci uniscono nell’offrire opportunità di un reciproco prenderci cura, di una prossimità che tante volte ci guarisce dalle inevitabili solitudini che la vita presenta. Una speranza che ridà senso anche quando le nuvole prevalgono. Perché il sole, poi ritorna. Ma occorre crederci. E qualcuno che ci aiuta a coltivare la speranza.