DIOCESI DI TRIESTE
COMMEMORAZIONE DEI FEDELI DEFUNTI
✠ Enrico Trevisi
Cimitero di Sant’Anna, 2 novembre 2025
Cari fratelli e sorelle, dragi bratje in sestre,
le letture ascoltate ci richiamano la grande verità cristiana. La morte è vinta, la vita vince la morte attraverso il Signore Gesù. Già Giobbe aveva proclamato con certezza: “Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno” (Giobbe 19,26-27).
E San Paolo precisa: “la speranza non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rom 5,5). Per noi peccatori Gesù Cristo è morto, per ridarci la vita. E se non crediamo nella risurrezione la nostra fede è vana, vuota, un imbroglio.
Nel Vangelo Gesù ha parlato di vita eterna: la volontà del Padre è che attraverso il Figlio, Gesù, noi abbiamo la vita eterna, la risurrezione nell’ultimo giorno (Gv 6,40).
Nel Credo niceno-costantinopolitano, da 1700 anni ripetiamo: “Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà”.
Purtroppo, nel nostro mondo occidentale sembra che la fede nella risurrezione e nel paradiso si sia molto attenuata. Al cimitero come luogo santo in cui venire a seppellire i morti è subentrata l’usanza di disperdere le ceneri o portarle in casa che è una moda pagana. Per noi il cimitero è luogo sacro in cui ci ritroviamo a pregare per i nostri defunti, farne la memoria riconoscente e affidarli a Dio perché nella sua misericordia li risusciti. “Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell'ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna”.
Il cimitero è luogo di preghiera, è luogo di speranza, è luogo in cui con fede nella misericordia di Dio facciamo memoria del bene ricevuto da chi ci ha preceduto. Qui in cimitero noi coltiviamo la fede nel Dio della vita che ci vuole con sé, in Paradiso, in una vita nuova e trasformata. La vita piena nel suo amore.
Siamo in un’epoca strana. Sembriamo caduti nella moda consumistica che appiattisce e svaluta tutte le tradizioni religiose con cui si elaboravano i significati della vita. “All’evidente declino della risonanza sociale delle feste cristiane dei santi e dei morti corrisponde, in Italia come nel resto del mondo occidentale, la trionfale affermazione di quella di Halloween, ormai entrata nel costume e ben più sentita di quelle della tradizione religiosa” (Giuseppe Savagnone). Si tratta di una festa pre-cristiana nata in Irlanda, portata dagli emigrati negli Stati Uniti e da qui esportata di nuovo soprattutto per motivi commerciali… ma nel frattempo con una portata distruttiva dei significati religiosi della morte e della vita. Secondo queste antiche credenze gli spiriti cattivi tornano nel mondo dei vivi e bisogna fronteggiarli. Il malvagio fabbro Jack “dopo aver promesso l’anima al diavolo, l’aveva più volte ingannato, cosicché, alla sua morte, neppure l’inferno l’aveva voluto accogliere ed era stato condannato a vagare in un’eterna oscurità, illuminata solo dalla debole luce di una candela custodita dentro una rapa svuotata” che nel frattempo è diventata una zucca. In questo problematico rapporto tra vivi e defunti si inserisce anche il mercato “Le maschere spaventose, le decorazioni con pipistrelli, scheletri e altri simboli macabri rappresentano l’evoluzione moderna di rituali antichi il cui scopo era di confondere gli spiriti che, nella notte del 31 ottobre, si pensava vagassero sulla terra”. Anche la formula “dolcetto o scherzetto” nascondeva una visione maliziosa e ricattatoria: o mi dai qualcosa o ti faccio uno scherzo di cattivo gusto.
Ci mancherebbe molti vivono la festa di Halloween come una parodia della morte, un toglierne l’aspetto angosciante e pensarla con ironia. Ma in questo modo si è cancellata un’altra occasione per decifrare il tema della morte, per decodificarla con l’annuncio della risurrezione. E così restiamo sempre più arrabbiati di fronte alla morte, sempre più soli: siamo in un tempo in cui la morte cerchiamo di nasconderla, di occultarla. La maggioranza dei bambini/ragazzi non partecipa ai funerali dei nonni e bisnonni… e anche la malattia sembra divenire una organizzazione di tecnicizzazione della morte.
Il fatto è che nella nostra società è venuto meno «un orizzonte simbolico capace di far “vivere socialmente” il morire e che permetta di parlare della morte e insieme di parlare con il morente»; non ci sono più «parole capaci di far vivere socialmente il morire». Subentra la volontà di dominio che caratterizza la società tecnologica: «La morte in ospedale (…) finisce per essere una morte burocratizzata, dove il morire si dissolve in un contesto socio-organizzativo nel quale il funzionale si sostituisce all’umano. E insieme, una morte tecnicizzata, dove il morire tende ad essere sempre più programmato e pianificato» (Viafora).
Ecco la perenne novità cristiana. Noi annunciamo il Dio della vita che vince la morte, che è la porta stretta da passare per incontrare faccia a faccia il Dio della vita. Gesù ci conduce: e come Chiesa vogliamo stare vicini alle persone nel loro camminare incontro al Signore, nel loro passaggio attraverso la morte. Vogliamo che ci siano parole e presenza con cui ci si sostiene.
La visita agli ammalti, il portare il sacramento dell’Eucarestia ma anche l’Unzione degli infermi, la vicinanza alle famiglie provate dal lutto, il decoro del cimitero, la preghiera di suffragio sono le esperienze con le quali ci mettiamo in gioco per annunciare il Dio della vita, anche dentro la paura della morte e lo smarrimento che suscita il pensiero della morte. Non si tratta di avere l’angoscia della morte e nemmeno di cancellare i segni della persona spargendone le ceneri. Occorre invece fare i conti con le domande più profonde e complesse: che ne sarà di me dopo la morte. Dalla risposta che diamo, potremo anche trovare la via dell’amore, quello di Cristo, e vivere nell’oggi pieni di speranza e anche appassionati per la giustizia e per relazioni belle con chi abbiamo accanto, sia quando sono sani che quando sono malati. Non si tratta di censurare il pensiero della morte, ma di attraversarlo con il Cristo Risorto.