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Giubileo del mondo dell’educazione


DIOCESI DI TRIESTE


Giubileo del mondo dell'educazione e inizio dell'anno scolastico


✠ Enrico Trevisi


Beata Vergine del Soccorso, 2 ottobre 2025



Siamo qui nel contesto del Giubileo del mondo educativo e dell’inizio dell’anno scolastico.
Guardiamo a Dio e chiediamo la pazienza educativa, che è declinazione e condizione per vivere la speranza, per camminare come pellegrini di speranza nella vocazione di essere parte della scuola, comunità educante che ci aggrega tutti, anche se con ruoli e missioni diverse.
Un primo pensiero: talvolta anche Dio sembra perdere la pazienza.

A Geremia dice: “Ecco, faccio venire su di loro una sventura alla quale non potranno sfuggire. Allora grideranno verso di me, ma io non li ascolterò” (Ger 11,11). Addirittura, gli intima: “Tu, poi, non pregare per questo popolo, non innalzare per esso suppliche e preghiere, perché non ascolterò quando mi invocheranno nella loro sventura” (Grer 11,14).

Eppure, dentro il cuore tormentato di Geremia, in un dialogo serrato con Dio, un po’ alla volta si giungerà ad alzare lo sguardo a una nuova promessa di Dio, a una nuova alleanza.

Certo che talvolta siamo amareggiati. Ci sentiamo come coloro, per riprendere un’altra espressione di Geremia, che “Hanno seminato grano e mietuto spine, si sono affaticati senza alcun profitto” (Ger 12,13).
A volta abbiamo l’impressione che il nostro lavoro educativo (e pastorale) sia inconcludente.

Forse anche Gesù, nel contesto dell’ultima cena, mentre gli apostoli discutevano tra loro su chi fosse il più grande tra loro e lui ben conosceva la loro debolezza, il loro rinnegamento e tradimento, avrà sperimentato il doversi appoggiare ad una speranza e a una pazienza che vanno oltre la diagnosi della fragilità umana. Se non attingi ad una speranza più alta, come fai a perseverare con pazienza? E questa speranza più alta viene da Dio: Lui ancora ha fiducia e ancora osa prospettare un’alleanza sorprendente!

Papa Francesco ci ha richiamati a guardare alla bellezza del Creato e a imparare con stupore il tempo dell’attesa e della pazienza e osservare la vita con i suoi tempi… anche di sviluppo, e lì scoprire una fraternità vera, reale, che rimanda al fatto che tutti proveniamo da Dio. “Se fossimo ancora capaci di guardare con stupore al creato, potremmo comprendere quanto decisiva sia la pazienza. Attendere l’alternarsi delle stagioni con i loro frutti; osservare la vita degli animali e i cicli del loro sviluppo; avere gli occhi semplici di San Francesco che nel suo Cantico delle creature, scritto proprio 800 anni fa, percepiva il creato come una grande famiglia e chiamava il sole “fratello” e la luna “sorella”. Riscoprire la pazienza fa tanto bene a sé e agli altri” (Spes non confundit).

Poco fa nella preghiera abbiamo chiesto uno sguardo contemplativo riguardo ai ragazzi (ma vorrei dire riguardo a tutta la scuola e le sue componenti, riguardo ad ogni attività educativa). Non basta avere stasera qui questo sguardo. Siamo chiamati a custodirlo e alimentarlo ogni giorno, sapendo che, come per Geremia, ci saranno situazione complesse e tormentate dove anche Dio appare un mistero: perché consente questa durezza di cuore? Perché non interviene a rafforzare questi ragazzi così fragili e disorientati? Perché non li seduce almeno per un po’, perché abbandonino le strade pericolose che hanno intrapreso? Perché ci sono adulti così immaturi che non sanno essere punti di riferimento per bambini e ragazzi? Quante domande difficili…

Questi bambini, ragazzi, giovani, per riprendere l’immagine di Gibran, “benché stiano con voi non vi appartengono” ma non solo perché hanno i loro genitori… ma anche perché non sono del tutto dei genitori. Essi sono di Dio, del suo amore che li ha immessi dentro una storia di libertà, piena di opportunità ma anche di insidie.

L’opportunità di scoprire la bellezza della vita, l’impegno di libertà che la vita esige, la complicità nell’amore e nella fraternità che è possibile, ma che dobbiamo volere. Anche quando cadiamo e ci facciamo male. A me piace tantissimo il Salmo 23 (22) “Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me”. Aprire il cuore a questa consapevolezza “il Signore è con me”, non mi abbandona mai! Ha cura di me! Anzi sulla mia vita c’è del bello: “Felicità e grazia (bontà e fedeltà sarebbe la nuova traduzione) mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita”. Cioè sulla mia vita c’è un amore che mi rende felice. È un dono, una grazia da accogliere! Quanto di bello abbiamo da testimoniare con la nostra dedizione educativa paziente e perseverante ad ogni bambino e adolescente e giovane!

A volte abbiamo tanta fretta e come il contadino dobbiamo imparare dalla terra e dalle stagioni ad avere pazienza. Occorre gettare il seme… e avere fiducia della terra. La pazienza è alleata della fiducia e della grazia: chi non ha fiducia non sa attendere, non sa avere pazienza e neppure speranza. Anzi si dispera.

Anche la preghiera, la liturgia ci educano alla lentezza: silenzio, ascolto, riflessione, stupore. Sono le condizioni per rielaborare le nostre frustrazioni, per non cedere allo sfinimento e alla spossatezza, per rilanciare la pazienza e la speranza.
Abbiamo cantato:

“Sei la mia forza, la mia salvezza, /sei la mia pace, sicuro rifugio. /Nella tua grazia voglio restare, /santo Signore sempre con te”.

Per mantenere uno sguardo contemplativo e dunque la pazienza educativa serve darci tempi di preghiera, tempi in cui riguardiamo a Dio e alla sua pazienza con noi, con ciascuno di noi! E in Dio saper trovare anche le modalità per esprimere la nostra “compassione”, quella pietas dell’insegnante e dell’educatore, che è autentica empatia (che non significa buonismo e giustificazionismo) con alunni e studenti, colleghi e genitori. Siamo chiamati ad indicare mete alte, per le quali ciascuno deve fare la propria parte; possiamo tendergli la mano, incoraggiarlo, ma resterà sempre uno spazio di libertà in cui ciascuno è chiamato a compromettersi. Ma dentro un’alleanza: siamo chiamati a far comprendere che le loro fatiche e le loro speranze sono anche le nostre. “Ci apparteniamo”, per riprendere Alessandro D’Avenia. Ci doniamo del tempo! Perché siamo tutti sulla stessa barca (la classe, la vita…), ma in quella barca c’è pure una presenza amica che ci sorregge, che ci ridà fiducia. Siamo chiamati ad attingere ad una luce che viene dall’alto, guardiamo ad una Grazia che ci rialza… e che tramite la nostra “appartenenza educativa” ci rivela che c’è un Mistero a cui insieme apparteniamo. E anche se un po’ acciaccati riprendiamo a camminare, a fare la nostra piccola parte. Che è la nostra vita. Unica. Irripetibile. Di figli di Dio amati. Nella consapevolezza che Dio di noi si prende cura. E si prende cura di noi anche attraverso educatori e insegnati che ci ha mette a fianco. Il Dio Onnipotente che tutto può fare da solo, sceglie sempre di fare attraverso i suoi discepoli. Tu puoi essere il segno della cura di Dio per i ragazzi e giovani che il Signore ti ha affidato.