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Giubileo delle corali


DIOCESI DI TRIESTE


Giubileo delle corali


✠ Enrico Trevisi


Cattedrale di San Giusto, 23 novembre 2025



Cari fratelli e sorelle, dragi bratje in sestre

nel messaggio che il papa ha scritto (7 ottobre 2025) ai giovani trovo: “Lo sguardo di Gesù, che vuole sempre e solo il nostro bene, ci precede (cfr Mc 10,21). Non ci vuole come servi, né come “attivisti” di un partito: ci chiama a stare con Lui come amici, perché la nostra vita venga rinnovata. E la testimonianza deriva spontaneamente dalla gioiosa novità di questa amicizia. È un’amicizia unica, che ci dona la comunione con Dio; un’amicizia fedele, che ci fa scoprire la nostra dignità e quella altrui; un’amicizia eterna, che neanche la morte può distruggere, perché ha nel Crocifisso risorto il suo principio”.

E come tutte le cose belle questa amicizia va non solo detta, ma anche vissuta e cantata. Ecco che il Giubileo delle corali ci aiuta a comprendere come il mistero di Dio va annunciato con tutte le espressioni belle delle nostre arti, e dunque anche con la musica e il canto. Siamo chiamati a vivere e cantare la gloria di Dio. C’è una luce che ci rischiara, un amore che ci ravviva, una vicinanza che ci conforta. È Dio, così come Gesù ce lo ha rivelato.

Nella seconda lettura (Col 1,12ss) siamo invitati a guardare al Padre che ci ha liberati dal potere delle tenebre, dunque del male e della morte, e ci ha immessi nel regno del Figlio del suo amore: Gesù. Il cristiano ha un punto di riferimento: Gesù. In lui abbiamo il perdono dei peccati, in lui abbiamo la rivelazione di chi è Dio e anche di chi siamo noi. C’è una bella espressione di papa Francesco che vorrei ricordare: «Cristo mostra che Dio è vicinanza, compassione e tenerezza» (Dilexit nos, 35). E tutta la nostra testimonianza verte a far conoscere a ciascuno quanto è amato da Dio. “Sia attraverso il vostro lavoro, sia attraverso il vostro impegno per cambiare le strutture sociali ingiuste, sia attraverso quel gesto di aiuto semplice, molto personale e ravvicinato, sarà possibile per quel povero sentire che le parole di Gesù sono per lui: «Io ti ho amato» (Ap 3,9)”. Così si conclude la lettera enciclica di Leone XIV Dilexit te (n. 121).

Papa Leone ripetutamente ci chiede di guardare Gesù. Eppure lo abbiamo sentito dal Vangelo: si può guardare Gesù da lontano, tenendolo a distanza; lo si può guardare per deriderlo, per insultarlo, per accusarlo. Oppure si può avere lo sguardo umile del buon ladrone, oppure ancora quello di Maria. Noi che sguardo vogliamo avere? Riporto le parole del papa all’assemblea dei vescovi di giovedì scorso:

“Guardare a Gesù è la prima cosa a cui anche noi siamo chiamati. La ragione del nostro essere qui, infatti, è la fede in Lui, crocifisso e risorto. … in questo tempo abbiamo più che mai bisogno «di porre Gesù Cristo al centro e, sulla strada indicata da Evangelii gaudium, aiutare le persone a vivere una relazione personale con Lui, per scoprire la gioia del Vangelo. In un tempo di grande frammentarietà è necessario tornare alle fondamenta della nostra fede, al kerygma» (Discorso ai Vescovi della Conferenza Episcopale Italiana, 17 giugno 2025). E questo vale prima di tutto per noi: ripartire dall’atto di fede che ci fa riconoscere in Cristo il Salvatore e che si declina in tutti gli ambiti della vita quotidiana”.

Questo vale anzitutto per noi, per noi vescovi, ma a cascata siamo chiamati a ripeterlo continuamente. Rischierò di essere ripetitivo e monotono, ma questa è la verità che non passa, la bussola per il nostro cammino, la gioia della nostra vita, la luce che rischiara le tenebre del mondo, il pane che ci alimenta per il viaggio, il sale che da gusto ai nostri giorni. Admirantes Iesum. Guardate a Lui con gioia e letizia, ha promesso di essere sempre con noi, ci tende la mano ogni volta che siamo caduti, ci spinge ad avere il coraggio della fraternità e della riconciliazione, ci dà le energie per fare il primo passo verso i fratelli che sbagliano. Ci ha dato lo Spirito santo, che è vita nuova, vita di grazia!

Noi non ci illudiamo di essere più bravi degli altri nel fare programmi di partito o teorie filosofiche. Noi cerchiamo di vivere l’amicizia con Gesù, e questa ci cambia la vita!

Sempre papa Leone afferma: “Dall’amicizia con Cristo, che è dono dello Spirito Santo in noi, nasce un modo di vivere che porta in sé il carattere della fraternità”. Si tratta di un’amicizia che ha esiti evidenti: chi “ ha incontrato Cristo porta ovunque il “calore” e il “sapore” della fraternità, e chiunque entra in contatto con lui o con lei è attratto in una dimensione nuova e profonda, fatta di vicinanza disinteressata, di compassione sincera e di tenerezza fedele. Lo Spirito Santo ci fa vedere il prossimo con occhi nuovi: nell’altro c’è un fratello, una sorella!” Il papa lo dice per i giovani ma noi sappiamo che vale anche per noi che non siamo giovani.

Questo è il comandamento che siamo chiamati a vivere: l’amicizia con Gesù; e questa vincerà le chiusure e i sospetti che talvolta avvelenano i nostri rapporti. L’amicizia con Gesù ci renderà capaci di una vita nuova, di relazioni nuove, di progetti nuovi, come l’armonia di un canto che si propaga, di una sinfonia che tutti raggiunge. “L’amore cristiano supera ogni barriera, avvicina i lontani, accomuna gli estranei, rende familiari i nemici, valica abissi umanamente insuperabili, entra nelle pieghe più nascoste della società. Per sua natura, l’amore cristiano è profetico, compie miracoli, non ha limiti: è per l’impossibile. L’amore è soprattutto un modo di concepire la vita, un modo di viverla. Ebbene, una Chiesa che non mette limiti all’amore, che non conosce nemici da combattere, ma solo uomini e donne da amare, è la Chiesa di cui oggi il mondo ha bisogno” (Dilexit te 120).

Non ci appagano le ricchezze di questo mondo. Siamo tentati e sedotti dalle cose del mondo ma sappiamo che non rendono felici. Il nostro cuore è assetato di infinito, siamo stati creati per gli orizzonti dell’amore vero, che in Cristo ci è svelato. La preghiera diventa questo guardare a Lui, per assumere i suoi sentimenti, il suo sguardo, le sue priorità, la sua libertà interiore.

Seguire Cristo ovunque, anche quando la vita ci prospetta la croce (l’indifferenza, la menzogna, la solitudine, il degrado dei rapporti). E proprio in quei giorni ci ritroveremo Lui ancora accanto e potremo di nuovo scegliere di lasciarci amare perché ci apra il Paradiso o continuare a sputare diffidenza, risentimento, chiusura.

Alleniamoci: impariamo a guardare a Gesù. A fidarci di Lui. A cantare il suo amore. A pensare come Lui, a parlare come Lui, a perdonare come Lui. E così impareremo anche la tenerezza e la compassione verso i fratelli e sorelle che ci ha messo accanto e che faticano e soffrono.