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Lettera al mondo del lavoro per il 1° maggio 2020

Lettera al mondo del lavoro per il 1° maggio 2020

 


Celebrare la ricorrenza del Primo Maggio 2020, festa del lavoro, nella situazione che stiamo vivendo, e ancor di più vivremo nei prossimi mesi, richiede riflessione, impegno, lucidità di analisi e lungimiranza perché dovremo ripensare i nostri regimi organizzativi e professionali. Arriveranno grandi cambiamenti sul fronte del lavoro che dobbiamo essere pronti ad affrontare, tutti uniti, lavoratori, imprenditori, amministratori pubblici, superando divisioni storiche o politiche, per tutelare il lavoro ed il reddito di tutti e per cogliere le auspicabili opportunità. Il periodo di quarantena forzata, sia pur doverosa, porta con sè “preoccupazione per l’avvenire che si presenta incerto, per il lavoro che si rischia di perdere”[1].  È importante allora che il primo maggio 2020 divenga la festa per il lavoro dove la persona e la famiglia siano le prime preoccupazioni alla luce di quei principi e valori evangelici che soli sono capaci di “fecondare e fermentare la società senza sminuire la dignità della persona”[2]. È necessario allora rileggere l’economia del profitto a tutti i costi, della globalizzazione finanziaria e del capitalismo selvaggio. Dobbiamo tornare a un’etica più attenta alla persona, nella società e nel mondo del lavoro. Per questo la rinascita non potrà prescindere da due punti fermi: la tutela dell’imprenditorialità che crea lavoro, e la garanzia di sicurezza negli ambienti di lavoro, senza baratti al ribasso sui diritti e la dignità delle persone e della famiglia che “costituisce – come sottolinea San Giovanni Paolo II – uno dei più importanti termini di riferimento secondo i quali deve essere formato l’ordine socio-etico del lavoro umano”[3].
Questi scenari appaiono ancor più complessi nella nostra città, che si troverà a fronteggiare un inatteso stop dell’economia basata sul turismo, precedentemente in forte crescita, ed un rallentamento del tanto atteso ed auspicato sviluppo delle aree del Porto Vecchio, mentre non sono state assorbite le crisi industriali ereditate dal 2019: ci riferiamo a Sertubi, Principe, Colombin, Flex, Burgo. È stata chiusa l’area a caldo della Ferriera di Servola, mettendo in cassa integrazione, speriamo provvisoriamente, molti posti di lavoro del settore industriale. Su questo deve essere forte l’impegno della politica locale e nazionale per promuovere l’utilizzo del personale dello stabilimento, a qualsiasi titolo impiegato, e delle imprese dell’indotto. L’obiettivo va perseguito con determinazione, superando lacci e vincoli burocratici. Pesa sui dipendenti e preoccupa che non sia stato ancora firmato l’accordo di programma che definisca e regoli il futuro dei lavoratori e le nuove destinazioni dell’area, compreso il suo risanamento. Auspichiamo inoltre che si consolidino gli sforzi di diverse realtà industriali e logistiche del territorio –  tra le quali Wärtsila, Illy, Orion, Saiph, Autorità Portuale – per reagire ad una situazione così complessa attraverso l’innovazione, la ricerca e lo sviluppo delle infrastrutture.
Questa Commissione diocesana desidera porre rispettosamente all’attenzione dei pubblici amministratori e dell’opinione pubblica il tema del futuro della città, che non può prescindere da “una spiritualità ed etica del lavoro… che non deve essere inteso soltanto in senso oggettivo e materiale, ma tenga in debita considerazione anche la sua dimensione soggettiva, in quanto attività che esprime sempre la persona. Oltre ad essere paradigma decisivo della vita sociale”[4]. Dopo il periodo contingente, che deve essere il più breve possibile, è doveroso ricreare le condizioni di lavoro e di reddito autonomo: è bene che per tale obiettivo vengano accantonate le faziosità che spesso caratterizzano la nostra città. Una riflessione va rivolta alle professioni sanitarie e di assistenza alla persona, i cui esponenti hanno dimostrato nell’emergenza capacità ed impegno incredibili, fattori che non dovranno essere dimenticati, ma dovranno costituire il fulcro di una revisione dei nostri modelli di assistenza, di cura, di supporto verso le persone più deboli, anche temporaneamente.
Concludiamo richiamando le parole di papa Francesco durante la benedizione del giorno di Pasqua: “incoraggio quanti hanno responsabilità politiche ad adoperarsi attivamente in favore del bene comune dei cittadini, fornendo i mezzi e gli strumenti necessari per consentire a tutti di condurre una vita dignitosa e favorire, quando le circostanze lo permetteranno, la ripresa delle consuete attività quotidiane”[5]. Il “bene comune dei cittadini” ed una “vita dignitosa” si ottengono quando vengono salvaguardati i diritti e i doveri della persona e della famiglia che trovano proprio anche nel lavoro “il processo di sviluppo per entrambi”[6]  in quanto “la disoccupazione depaupera la doverosa realizzazione sia delle persone che della famiglia”[7]. Invito che la Commissione Diocesana desidera portare a tutte le componenti della società civile e del mondo del lavoro locale.

 

La Commissione diocesana “Caritas in Veritate”
per i Problemi Sociali e il Lavoro
la Giustizia e la Pace e la Custodia del Creato
 

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[1] Papa Francesco, Discorso, Pasqua 2020.
[2] Cfr. Conc. Vat. II, cost past Gaudium et spes n.40.
[3] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens n.10.
[4] Pont. Cons. Giustizia e Pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, n.101.
[5] Papa Francesco, Messaggio Urbi et Orbi, 12 aprile 2020.
[6] Pont. Cons. Giustizia e Pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, n.249.
[7] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens n.10.