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Concerto per la Speranza

 
 
 
Eccellenza Rev.ma, Autorità, Signore e Signori,

mi è stato affidato il compito d’introdurre questo concerto che attraverso l’arte della musica vuol dare significato e consistenza alla gratitudine, alla testimonianza e alla speranza.

25.000.000 casi nel mondo; 267.000 casi in Italia con più di 35.000 decessi; 3769 Casi in Friuli Venezia Giulia con 348 decessi, la maggioranza a Trieste, città di fragilità, anziani e solitudine.
Il bilancio dei casi nella nostra realtà, pur nel dolore per le perdite individuali, è la misura di un sistema che ha retto ed ha fronteggiato efficacemente. Aspetti su cui riflettere vi sono, come sempre nelle vicende difficili degli uomini, ma nella vita bisogna guardare ai dati ed ai fatti. Da qui la gratitudine e le ragioni di fondata speranza.
Non so se come ricordato in alcune note di presentazione dell’evento di oggi ci sarà un “ritorno alla normalità” perché penso si tratterà di una “nuova normalità” e molti aspetti della nostra vita e delle nostre priorità, cambieranno.
Non nascondo però la preoccupazione per i dati recenti sui contagi che ripropongono la necessità del rispetto di tutte le semplici misure, sul distanziamento, mascherine ed igiene. Ho fiducia nella coscienza civile che si è creata, nell’organizzazione che è stata approntata, nel progresso della scienza ed ho fiducia e speranza nell’uomo e che gli uomini capiscano.
Dicevamo gratitudine, per i Medici, gli infermieri e gli operatori sanitari tutti, che a rischio per la vita hanno operato nei diversi contesti di assistenza, in tutti i servizi di assistenza, dai Medici di Famiglia, al 118, dalle Unità COVID a tutti i servizi territoriali e ospedalieri, inclusi coloro che hanno effettuato diagnostiche, eseguito ed analizzato i tamponi, coloro che hanno trasportato i malati, coloro che hanno curato tutti i servizi e l’igiene degli ambienti, in un momento in cui tutto era – e per certi aspetti rimane – difficile.
Gratitudine anche per gli amministrativi ed i tecnici che hanno affrontato delicati aspetti di procedure, riconversioni strutturali, dotazioni tecnologiche e approvvigionamenti.
Gratitudine anche per chi ci amministra e si è esposto nella conduzione di una vicenda che a certi livelli non ammetteva defezioni o indugi e spesso ha richiesto decisioni rapide, rischiose, assunte talvolta in solitudine.
Gratitudine per chi in varie forme ha continuato a trasferire conoscenze.
Gratitudine ed umana comprensione, unita alla preghiera, per tutte le vittime del virus ma anche per le vittime delle inevitabili e necessarie costrizioni e privazioni.
Si dice che l’epidemia ha infettato anche le relazioni fra persone, tutte le persone, ancor prima che la loro sopravvivenza: i bambini, i malati che non si sono recati in ospedale, i carcerati, gli emarginati, le persone in attesa di giustizia, il sistema dell’istruzione, l’economia, i disoccupati e le famiglie in gravi difficoltà economiche.
Accanto a vicende di cronaca, ci sono state storie numerose, bellissime, di amore, dono e professionalità. Storie individuali e di comunità, edificanti, da raccontare e per le quali ringraziare!
Perché’?
Ed è una domanda che poniamo a Dio, non al mondo: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”
La lettera apostolica Salvifici Doloris, di Papa Giovanni Paolo II, scrive pagine bellissime su questi interrogativi.
La mia non è la testimonianza di chi è stato direttamente operativo in reparti COVID, ma sette miei collaboratori, come altri operatori di altri reparti, hanno volontariamente operato per settimane e per l’intero orario di servizio in aree COVID e otto miei giovani specializzandi hanno operato esponendosi in aree COVID, a contatto con i malati. Hanno donato, insieme a centinaia di donne e uomini, professionalità, ma anche tenerezza, ascolto, conforto e speranza.
Il pensiero sui fragili sofferenti, sui morti spesso in isolamento, solitudine e possibile percezione di abbandono ha spesso occupato e turbato i miei pensieri. Continuare ad operare talvolta in emergenza, proteggendo dal contagio gli altri malati e i collaboratori è stata e continua ad essere un’esperienza durissima e logorante.
Curare le relazioni e l’informazione in epoca COVID, spiegare i rinvii di prestazioni ambulatoriali ed i criteri di necessaria prioritarizzazione … la gratitudine intensa e sincera è per tutto ciò e per tutti gli operatori, di tutte le realtà socio-sanitarie, di tutti i luoghi.
Dobbiamo avere e credere fortemente nella speranza di superare questa tragica esperienza epidemica, anche attraverso le responsabilità individuali, il rispetto delle regole, i progressi, speriamo rapidi, della scienza.
Il Concerto è uno degli strumenti per dire grazie, testimoniare il nostro impegno e sperare nel controllo e superamento dell’epidemia, sperare in una comunità rinnovata che ci trovi responsabili, solidali e capaci, con i necessari aiuti ed indirizzi, di ri-esprimere creatività, crescita, amore, gioia e vita. Un’ultima considerazione.
Pur nel rispetto di un termine usato anche dal Santo Padre, “eroicità”, mi sono chiesto cosa rendesse “eroi” coloro che si sono accostati a questa emergenza, in fondo assolvendo, pur in situazioni di criticità, al loro lavoro. In fondo abbiamo fatto il nostro “dovere”, anche se ciò ha configurato l’accettazione di rischi per la vita. C’è però certamente un aspetto che evoca l’”eroismo”. Consiste nella speciale esperienza del “dovere”, in situazioni di timore – per sé, per i collaboratori e per le loro famiglie –, di imprevisti, di rischio e difficoltà, confrontandosi e vivendo l’esperienza speciale dell’incontro con Cristo, molto sofferente. Ciò arricchisce, pur nella mestizia e nel dolore e converte le nostre insicurezze, timori, disagi in una dimensione di prudenza, amore per il prossimo, luce, speranza e salvezza.

Grazie.

Gianfranco Sinagra