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Il cammino sinodale | Messaggio

 
 

DIOCESI DI TRIESTE


MESSAGGIO PER L'AVVENTO 2021


…Gesù camminava davanti a tutti… (Lc 19,28)


IL CAMMINO SINODLE


✠ Giampaolo Crepaldi


Arcivescovo-Vescovo di Trieste



Carissimi presbiteri, diaconi, consacrati e consacrate, fedeli laici della Chiesa di Trieste: “grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo” (1Cor 1,3).

Tempo di Avvento, tempo di cammino sinodale

1. Con la prima domenica di Avvento inizia un nuovo Anno liturgico durante il quale la Chiesa celebra il mistero di Cristo. Ci ricorda il Concilio Vaticano II: “La Santa Madre Chiesa considera suo dovere celebrare con sacra memoria, in giorni determinati, nel corso dell’anno, l’opera della salvezza del Suo Sposo divino. Nel corso dell'anno, poi, distribuisce tutto il mistero di Cristo, dall’Incarnazione e dalla Natività, fino all’Ascensione, al giorno della Pentecoste e all’attesa della beata speranza e del ritorno del Signore” (Sacrosanctum concilium, 102). Un anno da vivere nella fede e nella preghiera, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, sulla sua vita e sul suo insegnamento. La prima tappa dell’Anno liturgico è l’Avvento che ha lo scopo di accompagnarci al Natale, quando faremo memoria della venuta di Gesù nella nostra carne; una memoria che ci proietta verso “l’attesa che si compia la beata speranza e venga il Signore nostro Salvatore Gesù Cristo”: nella gioiosa memoria della sua prima venuta attendiamo pieni di speranza la sua seconda venuta, quando “verrà a giudicare i vivi e i morti e il suo regno non avrà fine”.

2. Nel tempo dell’Avvento la Chiesa ci raccomanda con insistenza la virtù della vigilanza da esercitare unitamente alla preghiera. È una raccomandazione che riecheggia quella di Gesù: “Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell'uomo” (Lc 21,36). In definitiva, l’Avvento ci sollecita a improntare la nostra vita come un incontro con Cristo Figlio di Dio, Maestro e Salvatore, Via sulla quale muovere i nostri passi, ogni giorno, dietro ai suoi, senza lasciarci distrarre dalle mille cose che tentano di invadere gli spazi interiori nei quali Lui deve abitare in pienezza. Quello della vigilanza è, quindi, un richiamo importante, in un tempo – il nostro – caratterizzato dalla fretta e dalle tante occupazioni, che finiscono spesso per tenerci in un costante affanno, mentre quel che veramente conta, senza per questo disattendere i nostri doveri, è vivere di Cristo, è cercare Cristo, sempre, dovunque e comunque. L’Avvento invita a fissare lo sguardo su di Lui: a Lui occorre guardare e Lui attendere per la nostra salvezza.

3. L’Avvento è il tempo prezioso per accogliere Gesù Cristo nella nostra vita quotidiana. Con la limpida fede che ne ha caratterizzato il ministero, san Paolo VI affermava: “Oggi gli uomini tendono a non cercare più Dio. Tutto si cerca, ma non Dio. Anzi, si nota quasi il proposito di escluderlo, di cancellare il Suo Nome e la Sua memoria da ogni manifestazione della vita, dal pensiero, dalla scienza, dalle attività della società: tutto deve essere laicizzato, non solo per assegnare al sapere e all’azione dell’uomo il campo loro proprio, ma per rivendicare all’uomo un’autonomia assoluta, una sufficienza paga dei soli limiti umani, fiera di una libertà resa cieca di ogni principio obbligante. Tutto si cerca, ma non Dio; Dio è morto – si dice – non ce ne occupiamo più. Ma Dio non è morto, è semplicemente perduto, perduto per tanti uomini del nostro tempo. Non varrebbe la pena di cercarLo?” (Discorso, 26 agosto 1970). Ecco il grande tempo dell’Avvento, tempo per cercare Dio!

4. Su questa stimolante prospettiva spirituale disegnata per noi dal tempo dell’Avvento, con questo mio Messaggio vengo ad offrire alcune brevi riflessioni sul Cammino sinodale, che Papa Francesco ha proposto e sul quale tutta la Chiesa universale sta dando una prima reazione di convinta e promettente adesione. Sappiamo che la parola italiana sinodo ricalca un’espressione greca composta da due termini: syn, che vuol dire assieme, e odós, strada. Sinodo significa dunque il camminare assieme di tutto il popolo di Dio: vescovi, presbiteri, diaconi, religiosi e religiose, fedeli laici, tutti uniti perché rigenerati da un unico Spirito, inseriti in un unico Corpo, diretti verso un’unica meta, animati da un’unica fede e abitati da un’unica carità e spinti da un’unica speranza. Un camminare insieme con la ritrovata e responsabile consapevolezza che siamo partecipi della stessa missione che rivela la nostra comune dignità di figli di Dio e la nostra comune vocazione.

5. “Il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio” (Francesco, Discorso per il cinquantesimo dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17 ottobre 2015). Le parole del Papa sul futuro della Chiesa sono l’eco di parole antichissime, quelle di un grande Padre della Chiesa, Giovanni Crisostomo che scriveva: “Chiesa è nome che sta per sinodo”, cioè per cammino fatto insieme sotto la guida del Signore risorto, da tutto il popolo di Dio, nella variegata e ordinata pluralità dei suoi membri e nell’esercizio responsabile e convergente dei diversi ministeri, dei diversi carismi, dei diversi compiti e stati di vita. Ecco, che il cammino sinodale viene a sollecitare il nostro impegno a rendere presente e operante il lievito, il sale, la luce del Vangelo nel contesto della nostra Trieste e del nostro territorio con uno spirito e una cultura dell’incontro e del reciproco ascolto, del dialogo e della cooperazione. L’invito di san Giovanni Paolo II a vivere la Chiesa come “casa e scuola di comunione” (Novo millennio ineunte, 43), valorizzando le strutture sinodali previste dal Vaticano II, e quello di Papa Francesco ad “avviare processi” di “discernimento, purificazione e riforma” (Evangelii gaudium, 30) rivestono un preciso significato spirituale e pastorale che non dovrà pertanto essere disatteso.

6. Questo mio Messaggio si riferisce, come ho detto, all’iniziativa di papa Francesco, ma anche ai progetti sul cammino sinodale che sono stati elaborati dalla Conferenza Episcopale Italiana. Per tutta questa complessa materia sono ad invitare i più interessati a leggere i seguenti documenti: Commissione teologica internazionale, Il cammino della sinodalità, 3 maggio 2018; Sinodo dei Vescovi, Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione e il Vademecum per il Sinodo sulla sinodalità, settembre 2021. Da parte della CEI i seguenti testi: Messaggio ai presbiteri, ai diaconi, alle consacrate e consacrati e a tutti gli operatori pastorali e Lettera alle donne e agli uomini di buona volontà, settembre 2021. Tutta questa preziosa documentazione la si può facilmente reperire anche nel sito della nostra Diocesi. Mi permetto comunque di ricordare il valore che continua a ricoprire l’esperienza fatta dalla nostra Chiesa diocesana con il Sinodo della fede i cui documenti restano uno stimolante e attualissimo punto di riferimento anche nel commino sinodale intrapreso dalla Chiesa universale e dalla Chiesa italiana. A fronte di tanta ricchezza magisteriale, in questo mio Messaggio mi limito a qualche doverosa sottolineatura per rendere questo cammino possibilmente autentico, gioioso e fecondo di bene.

Tempo di Avvento, tempo di cammino sinodale

7. Una prima parola chiarificatrice va spesa sul termine “cammino” se vogliamo che il cammino sinodale raggiunga i suoi obiettivi. La tentazione potrebbe essere quella di ridurlo ad un vagabondaggio ecclesiale e spirituale senza senso o a un correre di qua e di là dietro al primo che arriva o che la spara più grossa. La domanda quindi che dobbiamo porci da subito è la seguente: un cammino da farsi con chi e verso dove? La risposta deve essere chiara fin dall’inizio: il cammino sinodale dovrà essere un camminare con e al seguito di Cristo, un cammino di discepolato. Fu così all’origine della vicenda cristiana: “Passando lungo il mare di Galilea, [Gesù] vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: “Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini”. E subito lasciarono le reti e lo seguirono” (Mc 1,16-18). Andare con lui, seguirlo per stare con lui, è quanto Gesù chiede a coloro che chiama. Essere cristiani significa essere discepoli di Gesù, pronti a misurarsi con la sua proposta di salvezza e liberazione: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt 16,24-25).

8. Il cammino sinodale come cammino con e al seguito di Gesù dovrà essere prioritariamente un cammino di conversione a Lui e in Lui, un cammino di santità. Papa Benedetto XVI, commentando la frase dall’apostolo Paolo “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2, 20), scrisse: “Vivo, ma non sono più io. L’io stesso, la essenziale identità dell’uomo – di quest’uomo, Paolo – è stata cambiata. Egli esiste ancora e non esiste più. Ha attraversato un “non” e si trova continuamente in questo “non”: Io, ma “non” più io. […] Questa frase è l’espressione di ciò che è avvenuto nel Battesimo. Il mio proprio io mi viene tolto e viene inserito in un nuovo soggetto più grande. Allora il mio io c’è di nuovo, ma appunto trasformato, dissodato, aperto mediante l’inserimento nell’altro, nel quale acquista il suo nuovo spazio di esistenza” (Omelia nella Veglia Pasquale, 25 aprile 2006). Il mutamento tocca la nostra sostanza, la nostra identità profonda, assimilandola a quella di Gesù, così che se vogliamo rimanere suoi discepoli dobbiamo pensare come Lui, scegliere conformemente alla sua volontà, amare come lui ci ha amato.

9. Cammino sinodale come cammino di santità implica che ogni dimensione della nostra vita viene toccata dall’appartenenza a Gesù: l’unità spirituale e corporale della nostra persona, le nostre relazioni con gli altri, la vita in famiglia, gli affetti, lo studio e il lavoro, il rapporto con i beni materiali, l’impegno nella vita sociale. È questa una lezione esigente che ci viene proposta dell’apostolo Paolo in un suo testo che non ha bisogno di chiose interpretative: “Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne […]. Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge. Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è Legge. Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. Perciò se viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito” (Gal 5,13.16-25).

10. Nell’intraprendere il cammino sinodale dobbiamo avere l’avvertenza di procurarci il necessario per il sostentamento. Emblematica a questo riguardo è la vicenda dei due discepoli, tristi e scoraggiati, sulla strada che andava da Gerusalemme a Emmaus: “Due di loro erano in cammino per un villaggio di nome Emmaus… e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto” (Lc 24,13-14). Questi, che si interrogavano sui fatti della passione e sugli enigmi legati al sepolcro vuoto, vengono apostrofati in questa maniera dallo sconosciuto che li raggiunge: “Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria? E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui” (Lc 24,25-27). In questo non ci sono differenze tra noi e i due sulla strada di Emmaus: non si può essere discepoli di Gesù senza essere uditori della Parola, senza nutrire le nostre giornate di ascolto e confronto con la Parola di Dio, quella che la Chiesa proclama, leggendo con noi e per noi le pagine della Sacra Scrittura. Anzi, Gesù stesso ci ricorda che l’ascolto della sua parola è ciò che qualifica la nostra condizione di discepoli e ci fa sua famiglia: “Mia madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 8,21). Ecco, il primo e sostanzioso alimento per il cammino sinodale. Se decidiamo che sia un tempo di grazia, non possiamo ridurlo ad un accumulo sterile di chiacchiere inutili e dannose, ma dedicarlo a renderci tutti – vescovo, presbiteri, diaconi, religiosi e religiose, fedeli laici – silenziosi uditori della Parola.

11. Ma il racconto dei discepoli di Emmaus ci riserva un’altra mirabile sorpresa, quella dello svelamento dell’identità del loro sconosciuto compagno di viaggio e questo a tavola. Infatti, Egli entra e si mette a tavola con loro, prende il pane, recita la benedizione, lo spezza e glielo dà: “Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero” (Lc 24,29-31). Il gesto di Gesù è eucaristico e ci dice come solo nella partecipazione sacramentale alla sua stessa vita donata per noi è possibile giungere al compimento e alla pienezza dell’incontro. Solo in forza del dono di grazia del sacramento eucaristico le parole prima udite svelarono ai due discepoli il loro pieno valore e diventarono verità significativa per la loro vita: “Ed essi si dissero l’un l’altro: Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?” (Lc 24,32). Ecco che il cammino sinodale deve mettere in conto un impegno serio e costante a curare la nostra vita sacramentale, sia nella partecipazione assidua alla Messa domenicale come al sacramento della Riconciliazione, sia nel prenderci cura degli effetti nella nostra vita degli altri sacramenti che abbiamo ricevuto, Battesimo e Confermazione.

12. Il cammino sinodale come cammino con e al seguito di Gesù implica che la sua presenza tra noi dovrà avere un centro ben preciso, da cui non possiamo prescindere: la croce. Su questo punto è bene ascoltare Papa Francesco: “Perché la Croce? Perché Gesù prende su di sé il male, la sporcizia, il peccato del mondo, anche il nostro peccato, di tutti noi, e lo lava, lo lava con il suo sangue, con la misericordia, con l’amore di Dio. Guardiamoci intorno: quante ferite il male infligge all’umanità! Guerre, violenze, conflitti economici che colpiscono chi è più debole [...] Amore al denaro, potere, corruzione, divisioni, crimini contro la vita umana e contro il creato! E anche – ciascuno di noi lo sa e lo conosce – i nostri peccati personali: le mancanze di amore e di rispetto verso Dio, verso il prossimo e verso l’intera creazione. E Gesù sulla croce sente tutto il peso del male e con la forza dell’amore di Dio lo vince, lo sconfigge nella sua risurrezione. Questo è il bene che Gesù fa a tutti noi sul trono della Croce. La croce di Cristo abbracciata con amore mai porta alla tristezza, ma alla gioia, alla gioia di essere salvati” (Omelia alla Messa della Domenica delle Palme, 24 marzo 2013). Dunque, consapevolezza del mistero del peccato umano e del male, ma anche certezza di un amore, quello di Dio, che è capace di vincerli, aprendoci la prospettiva del dono come strada per la vera vita: con Gesù, al seguito di Gesù e come Gesù.

Cammino sinodale e comunione ecclesiale

13. Una seconda parola chiarificatrice va spesa sull’aggettivo “sinodale” se vogliamo che il cammino sinodale raggiunga i suoi obiettivi. Il rischio da evitare è quello di alimentare fantasie improprie come il ritenere che, con l’enfasi posta sul sinodale e sul insieme, comporti nella Chiesa un cambio di potere dall’alto al basso, da esercitarsi secondo i canoni delle moderne democrazie parlamentari per profittare a mettere in soffitta il celibato dei preti, ad aprire il sacerdozio alle donne e a ogni forma di combinazione matrimoniale e, soprattutto, a cambiare la struttura gerarchica della Chiesa. Ritenere che il doveroso e necessario rinnovamento ecclesiale passi prioritariamente dalla rivoluzione di questi istituti è una distorsiva illusione, perché il vero e autentico rinnovamento cristiano è sempre a partire da quello delle anime, dei cuori e delle persone, operato dalla grazia divina su chi è disponibile a convertirsi. Piuttosto l’istanza rinnovatrice implicata nel cammino sinodale, cioè del camminare insieme, comporta il recupero e il rilancio dell’idea teologica e spirituale della comunione ecclesiale. A chiederlo sono state istanze autorevolissime del Magistero della Chiesa. Nella Relazione finale del Sinodo straordinario dei Vescovi del 1985, infatti, si affermò che “l’ecclesiologia di comunione è un’idea centrale e fondamentale nei documenti conciliari” e in una successiva Lettera della Congregazione per la dottrina della fede del 1992 si aggiunse che il concetto di comunione, oltre ad essere stato messo in luce dai documenti del Vaticano II è anche “molto adeguato per esprimere il nucleo profondo del mistero della Chiesa e può essere una chiave di lettura per una rinnovata ecclesiologia cattolica”.

14. Il cammino sinodale è, pertanto, l’occasione buona per vivere la Chiesa come mistero di comunione. I Padri del Concilio Vaticano II, citando a questo riguardo S. Cipriano, ci hanno ricordato che la Chiesa è un “popolo adunato dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (Lumen gentium, 4). Affermazione sorprendente, purtroppo dimenticata, che rimanda all’Amore trinitario come principio della comunione ecclesiale e come modello delle sue relazioni. Se la Chiesa non si alimenta a questo principio e a questo modello trinitario e non si dedica incessantemente a riprodurne il mistero nella propria vita, il suo essere comunione rimane un qualcosa di fragile o campato per aria. Tutto questo ha qualcosa di assai significativo, che mette in discussione quanti – qualcuno c’è anche a Trieste – ritengono di poter definire la Chiesa a cominciare dagli uomini e dalle donne che ne fanno parte. Il punto di partenza invece deve essere decisamente un altro, cioè Dio: è Lui che la chiama, è Lui che la convoca. Infatti, quelli che appartengono alla Chiesa sono denominati – come ci indica in più punti il Nuovo Testamento – i chiamati e gli eletti.

15. Il cammino sinodale è anche l’occasione buona per riscoprire la nostra Chiesa diocesana, in quanto Chiesa che vive in un determinato luogo. Si colloca qui una urgente domanda che interpella il nostro essere Chiesa a Trieste: siamo quel sacramento di salvezza per gli uomini e le donne del nostro territorio, ossia nella carne della loro cultura e nella storicità del loro ambiente umano? Il Signore non ha fondato e voluto la Chiesa collocandola nell’alto del cielo, ma l’ha piantata sulla terra, dandole certamente il compito di andare in cielo. Ci arriverà di sicuro alla fine dei tempi quando “tutti i giusti, a partire da Adamo, dal giusto Abele, fino all’ultimo eletto, saranno riuniti presso il Padre celeste nella Chiesa universale” (Lumen gentium, 2). Per ora deve camminare su questa terra come pellegrina, imitando il suo Sposo che, venendo dal Padre, pose la sua tenda ed abitò tra le case degli uomini (cf. Gv 1,14). E in questo suo pellegrinare sulla terra deve essere generosa nel rispondere alla chiamata alla missione, ossia all’invio missionario che il Signore Gesù le rivolge, chiedendole di portare il suo Vangelo fino agli estremi confini della terra (cf. Mt 28,18-20). La nostra Chiesa diocesana che è pellegrina a Trieste deve dare più slancio all’istanza missionaria, rispondendo come il profeta a Dio che lo chiamava: “Eccomi, manda me” (Is 6,8).

16. Il cammino sinodale ci impegna a mettere a tema anche la comunità parrocchiale. Vecchi difetti (autarchia pastorale, poca collaborazione, autosufficienza…) e nuove sfide ci devono interrogare a fondo per dare ad essa un profilo che corrisponda in pieno alle esigenze dell’ecclesiologia di comunione. Con una caratteristica che deve sopravanzare su ogni altra: la comunità parrocchiale deve rimanere espressione di una Chiesa aperta a tutti, dove è possibile che i credenti si ritrovino senza distinzione di età, di categoria sociale, di affinità sentimentali, culturali o spirituali. Questa direzione ce l’aveva indicata alcuni anni fa san Giovanni Paolo Il quando scrisse che la parrocchia “è l’ultima localizzazione della Chiesa, è in un certo senso la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie, comunità fondata su di una realtà teologica, perché essa è una comunità eucaristica” (Christifideles laici, 26). La comunità parrocchiale, quindi, come fontana del villaggio di cui parlava san Giovanni XXIII. Nel promuovere la parrocchia come casa comune nella quale è garantito il diritto e il dovere di ogni credente di appartenere visibilmente alla Chiesa, si dovrà tenere in debito conto l’istanza che proviene dall'incoraggiante e promettente presenza di quelle forme di aggregazione laicale – gruppi, movimenti, associazioni – ben attivi nella nostra realtà diocesana nelle quali la vita comunitaria non è legata ad un territorio bensì ad affinità apostoliche di vario genere.

17. Il cammino sinodale come cammino di comunione ecclesiale comporta un approfondimento e un più ampio riconoscimento della diversità dei doni gerarchici e carismatici, frutto dell’azione dello Spirito Santo. Su questo punto san Paolo ci offre un contributo illuminante nella sua Lettera agli Efesini (cf. Ef 4, 11-16). Nella sua salutare prospettiva, la Chiesa viene assimilata ad un “corpo” e viene chiamata Corpo di Cristo. Cosa vuol dire concretamente per noi? Vuol dire che il cammino sinodale deve essere l’occasione per stabilire tra tutte le membra del Corpo di Cristo che è a Trieste un rapporto di mutuo sostegno e di reciproco aiuto: scambio di doni, senso vivo di fraternità, gioia per l’eguale dignità, impegno nel fare fruttificare a favore degli altri quanto si è avuto da Dio. Tutto questo non sarà possibile al di fuori della santa Eucaristia: “Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?” (1Cor 10,16). La comunione eucaristica è anzitutto comunione a Cristo; da essa però consegue il vincolo della comunione fraterna, che fa della Chiesa il Corpo di Cristo: “Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti, infatti, partecipiamo dell'unico pane” (10,17). Non dimentichiamo mai che la Chiesa cattolica vive in comunità eucaristiche.

18. Il cammino sinodale ci chiederà anche di ripensare e di rilanciare gli organismi e gli strumenti che favoriscono la partecipazione ecclesiale. Oggi come oggi dobbiamo registrare ritardi e stanchezze ingiustificati. Mi riferisco in primo luogo al livello diocesano, cioè al Consiglio Presbiterale e al Consiglio Pastorale Diocesano ai quali bisogna aggiungere il Collegio dei Consultori e il Consiglio per gli affari economici. A livello parrocchiale, c’è il Consiglio Pastorale Parrocchiale, che il nostro Sinodo ha reso obbligatorio, ma anche il Consiglio parrocchiale per gli affari economici, anche questo obbligatorio. Aggiungo poi il Collegio dei catechisti, anche questo previsto dal nostro Sinodo. Tutti questi organismi e strumenti, pur con differente valenza ecclesiologica, costituiscono le più significative strutture sinodali della nostra Chiesa diocesana e ne rivelano il volto comunionale. Il cammino sinodale dovrà opportunamente stimolarci a rilanciarli e valorizzarli in quanto “scuole e palestre che educano al senso e al servizio della comunione” (CEI, Comunione e comunità, 71) e che sorreggono e favoriscano la compresenza, la complementarità e la corresponsabilità di tutti i fedeli. In fin dei conti è questa la sinodalità: una gioiosa e convinta partecipazione alla vita della Chiesa di tutti i fedeli, secondo i propri ministeri, uffici e carismi. Di questa sinodalità abbiamo particolarmente bisogno per consentire a ciascuno di vivere quella responsabilità ecclesiale che attiene alla propria vocazione e per affrontare le questioni che riguardano la vita della nostra Chiesa con uno sguardo aperto ai problemi del territorio e della società.

Prime e concrete indicazioni

19. Il cammino sinodale è stato oggetto di una prima programmazione elaborata dalla Conferenza Episcopale Italiana e che riguarda tutte le Diocesi italiane e, quindi, anche la nostra. Essa ha iniziato questo cammino in compagnia con le altre tre Diocesi della Regione Friuli Venezia Giulia domenica 17 ottobre nella Basilica patriarcale di Aquileia con un incontro di preghiera. Nello stesso tempo, personalmente ho provveduto a nominare il Referente del cammino sinodale in Diocesi nella persona del Vicario per il coordinamento pastorale che opererà con la fattiva collaborazione di alcuni laici. Egli dovrà essere punto di riferimento per le nostre comunità per collegare, chiarire, lavorare insieme, coinvolgendo e motivando, ponendo al centro un trinomio: Vangelo, fraternità, mondo. Mentre a fare da filo conduttore sarà il tema: Annunciare il Vangelo in un tempo di rigenerazione.

20. Il cammino sinodale proposto dai Vescovi alle Diocesi italiane si strutturerà secondo scansioni temporali e tematiche molto precise. La prima scansione vedrà l’intrecciarsi del cammino italiano con quello del Sinodo dei Vescovi che Papa Francesco ha voluto sia dedicato alla sinodalità. Un appuntamento, quest’ultimo, già partito nel mese di ottobre e che, secondo le novità introdotte dal Pontefice, si aprirà con una consultazione delle Diocesi in tutto il mondo che terminerà a giugno del 2022. Alle Diocesi è già pervenuto una specie di questionario “vaticano” con una decina di temi e domande che servono per raccogliere indicazioni per il Sinodo dei Vescovi. Un documento che è stato integrato con schede di lavoro della CEI in cui saranno presenti le istanze proprie della Chiesa italiana. Fra gli obiettivi anche quello di accogliere nel tracciato nazionale le ricchezze dei Sinodi diocesani – come quello celebrato dalla nostra Diocesi – che in molte Chiese locali del Paese si sono svolti o sono in corso.

21. Il cammino sinodale nella sua versione diocesana farà tesoro delle schede che la CEI ha già pubblicato e che il Referente diocesano farà conoscere. Quello che qui mi interessa è portare alla vostra attenzione, anche se in maniera sintetica, i nuclei tematici previsti per questa prima tappa che ci terrà occupati fino al 2022. Questi nuclei tematici poi verranno opportunamente distribuiti alle varie istanze della nostra Diocesi che provvederanno a utilizzarli per poi dare un riscontro su di essi. Questi i temi:
a. I compagni di viaggio: nella Chiesa e nella società siamo sulla stessa strada fianco a fianco;
b. Ascoltare: l’ascolto è il primo passo, ma richiede di avere mente e cuore aperti, senza pregiudizi;
c. Prendere la parola: tutti sono invitati a parlare con coraggio e parresia, cioè integrando libertà, verità e carità;
d. Celebrare: “camminare insieme” è possibile solo se si fonda sull’ascolto comunitario della Parola e sulla celebrazione dell’Eucaristia;
e. Corresponsabili nella missione: la sinodalità è a servizio della missione della Chiesa, a cui tutti i suoi membri sono chiamati a partecipare;
f. Dialogare nella Chiesa e nella società: il dialogo è un cammino di perseveranza, che comprende anche silenzi e sofferenze, ma capace di raccogliere l’esperienza delle persone e dei popoli;
g. Con le altre confessioni cristiane: il dialogo tra cristiani di diversa confessione, uniti da un solo battesimo, ha un posto particolare nel cammino sinodale;
h. Autorità e partecipazione: una Chiesa sinodale è una Chiesa partecipativa e corresponsabile;
i. Discernere e decidere: in uno stile sinodale si decide per discernimento, sulla base di un consenso che scaturisce dalla comune obbedienza allo Spirito;
j. Formarsi alla sinodalità: la spiritualità del camminare insieme è chiamata a diventare principio educativo per la formazione della persona umana e del cristiano, delle famiglie e delle comunità.
Alla fine la domanda di fondo resta la seguente: come si realizza oggi, a diversi livelli – da quello locale a quello universale – quel “camminare insieme” che permette alla Chiesa di annunciare il Vangelo, conformemente alla missione che le è stata affidata; e quali passi lo Spirito ci invita a compiere per crescere come Chiesa sinodale?

22. Il cammino sinodale si aprirà quindi con una intensa tappa di consultazione dal basso. Avrà al centro le parrocchie, ma anche gli appartenenti alla vita consacrata, le associazioni e i movimenti. Sarà una tappa di ascolto di ciò che lo Spirito dice alle Chiese attraverso la consultazione del popolo di Dio nella maggiore ampiezza e capillarità possibile. Non si dovranno dimenticare anche le domande sollevate dalla pandemia, come quelle riguardanti le chiese svuotate dal Covid e il gregge smarrito. La seconda tappa (2023-2024) è chiamata sapienziale e vedrà impegnati soprattutto i vescovi, gli operatori pastorali, le Conferenze episcopali regionali, ma anche le Facoltà e gli istituti teologici, l’Università Cattolica e la Lumsa, le realtà culturali presenti nel Paese. Si tratterà di leggere e analizzare quanto scaturito nel biennio precedente e integrarlo con gli spunti usciti dal Sinodo dei Vescovi. La terza e ultima tappa (2025) avrà come orizzonte il Giubileo del 2025 quando si terrà una grande assemblea nazionale che sarà chiamata a individuare alcune scelte per il cammino futuro della Chiesa. Già san Giovanni Paolo II aveva lanciato al Convegno di Palermo, nel 1995, la proposta di un passaggio dalla conservazione pastorale alla missione e Benedetto XVI aveva tracciato al Convegno di Verona le piste per una Chiesa che, pur essendo quasi dovunque minoranza, lo sia in modo creativo e propositivo, attraverso una presenza che sappia dialogare con tutti i “cercatori della verità” e che sia in grado di attrarre più che imporre.

23. Chiudo questo mio Messaggio con l'auspicio che il cammino sinodale sia soprattutto un cammino illuminato e guidato dalla Parola del Logos eterno del Padre, cioè da Gesù Cristo. In questo modo, la Chiesa, che del Logos ne è la “Sposa”, sarà preservata da sbandamenti, smarrimenti, contraddizioni, confusioni, arroganze ideologiche e da influenze mondane. E noi che cosa dobbiamo fare? Fare come Salomone. Egli era appena succeduto a suo padre Davide. Era ancora molto giovane e nulla faceva pensare alla sua futura fama e gloria. Il Tempio non era ancora stato costruito. Sulle alture di Gàbaon offriva a Jahvè un immenso sacrificio di mille buoi. A un certo punto il Signore gli parlò in sogno: “Chiedimi ciò che io devo concederti”. Salomone, di fronte a questa magnanime disponibilità di Dio, diede una risposta sorprendente: chiese semplicemente un cuore in ascolto. Il Primo Libro dei Re ci informa che “Al Signore piacque che Salomone avesse domandato ciò” (1Re 3,10). In questo cammino sinodale, così impegnativo per la Chiesa e per ognuno di noi, anche noi vogliamo chiedere al Signore la grazia di avere un cuore in ascolto. Un cuore che ascolta è la parte migliore di cui il Signore ha detto che non ci sarà mai tolta (cf. Lc 10,42): come Maria, che “sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola” (Lc 10,39); poi la beatitudine: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!” (Lc 11,28) e, in fine, il suo sferzante avvertimento: “Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole” (Mt 6,7). Chiediamo ai Santi, “uomini e donne nobili” della nostra Chiesa, di guidarci nell'esperienza del cammino sinodale a quella testimonianza evangelica con la stessa fedeltà e fortezza con le quali hanno camminato al seguito di Cristo. Mettiamo il cammino sinodale sotto la materna protezione della Vergine Maria: Lei, legando la sua vita alla Parola, non si è ripiegata su se stessa, ma si è aperta al pellegrinare, nella pace e nella gioia, in quell’esodo da sé che continua ad essere l’essenza del suo amore fecondo di Madre, di Dio e della Chiesa.