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Dottrina sociale e fedeli laici

 
 

DIOCESI DI TRIESTE


Dottrina sociale e fedeli laici


✠ Giampaolo Crepaldi


Residenza Universitaria Rivalto - Trieste, 30 aprile 2022



Ringrazio sentitamente per l’invito rivoltomi a partecipare a questo significativo incontro, che chiude un impegnativo Corso di studio sulla dottrina sociale della Chiesa. Personalmente vi dirò qualcosa sul tema: dottrina sociale e impegno dei cristiani laici, avendo come punto di riferimento l’ultimo capitolo del Compendio della dottrina sociale. Tale capitolo costituisce, infatti, una fonte di ispirazione ideale, un riferimento indispensabile per la formazione e la maturazione dei cristiani laici, singoli e associati, poiché offre concrete indicazioni a partire dalla dottrina sociale della Chiesa.
A questo proposito, il grande papa san Giovanni Paolo II, nell’Esortazione Apostolica postsinodale Christifideles laici, affermava: «In particolare, soprattutto per i fedeli laici variamente impegnati nel campo sociale e politico, è del tutto indispensabile una conoscenza più esatta della dottrina sociale della Chiesa, come ripetutamente i Padri sinodali hanno sollecitato nei loro interventi… Tale dottrina deve essere già presente nella istruzione catechistica generale, negli incontri specializzati e nelle scuole ed università. Questa dottrina sociale della Chiesa è, tuttavia, dinamica, cioè adattata alle circostanze dei tempi e dei luoghi. È diritto e dovere dei pastori proporre i principi morali anche sull’ordine sociale…» (ChL, 60).

La questione dell'identità laicale
La prima questione che vi propongo è proprio quella dell’identità laicale. Possiamo dire che il punto fontale dell’identità dei cristiani laici è il loro essere discepoli di Cristo. Con il sacramento del Battesimo, essi sono inseriti in Cristo, resi partecipi della Sua vita e, perciò, del Suo triplice munus. C’è una modalità propria, tuttavia, che connota la sequela del cristiano laico e la sua partecipazione alla vita stessa di Cristo. Questa modalità è data dalla sua indole secolare, dal fatto cioè che egli è e vive nel mondo. Una collocazione, questa, che non è di natura sociologica, ma che qualifica e determina, sul piano propriamente teologico, l’essere e l’operare dei cristiani laici. Non si tratta di una opzione individuale ma, piuttosto, di un progetto di Dio, di una vera e propria vocazione. All’interno delle nostre comunità cristiane, però, non è ancora superata un’immagine riduttiva del cristiano laico, del suo essere e del suo operare: in base a questa immagine si considera il cristiano laico quasi come un cristiano dal basso profilo evangelico.
Tutte le realtà umane, da quelle personali e familiari, fino a quelle sociali; tutti gli ambienti e le situazioni storiche; tutte le strutture e le istituzioni che formano il tessuto della vita di un popolo e dell’umanità sono il luogo proprio del vivere e dell’operare del cristiano laico. Il «mondo» è il destinatario dell’opera dell’amore di Dio. Se la presenza e l’impegno del cristiano laico nel mondo non partono da questa visione teologale non potranno essere espressioni di carità e annuncio del Vangelo. Il cristiano è mosso da un vero e proprio amore verso il mondo; un amore che comporta conoscenza non superficiale, obiettività nel cogliere il bene e il male, desiderio e ricerca di bene, solidarietà e senso di responsabilità, atteggiamento di servizio. La presenza e l’azione del cristiano laico nel mondo nascono da un carisma, cioè da un dono di grazia, riconosciuto, coltivato e portato a maturazione.

La questione della spiritualità laicale
La seconda questione che vi propongo è quella della spiritualità laicale. Il Compendio afferma che è proprio del cristiano laico annunciare il Vangelo non tanto con la predicazione e la catechesi, ma principalmente con una esemplare testimonianza di vita cristiana; una vita radicata e vivificata in Cristo e tessuta nelle realtà terrene e storiche: l’esperienza dell’amore, della famiglia, della paternità e maternità, l’esperienza della professionalità nell’ambito del lavoro, della cultura, della scienza e della ricerca, l’esperienza di responsabilità sociali, economiche, politiche. È questa la condizione che rende significativo l’impegno dei cristiani laici nel mondo, o che, al contrario, toglie ad esso ogni significanza.
In questa prospettiva, il Compendio sottolinea la necessità di coltivare e di approfondire continuamente le motivazioni interiori, cioè i tratti della propria identità, la propria adesione a Cristo e al suo Vangelo come essenziale criterio di vita, la visione cristiana dell’uomo e del mondo secondo lo sguardo di Dio e della Chiesa, la passione per l’uomo e per la storia secondo uno stile di servizio che esprime la carità interiore. In altre parole, la prima condizione è legata alla coltivazione di una autentica e solida spiritualità laicale capace di generare uomini e donne nuovi, immersi nel mistero di Dio e inseriti nella società.
Una spiritualità capace di guardare oltre la storia, ma che non si allontana mai da essa; che coltiva un amore appassionato per Dio, ma è in grado di vedere Dio in tutti e amare tutti appassionatamente, come Dio li ama; che è espressione di una sintesi vitale, capace di redimere l’esistenza vuota e frammentata, di darle unità, significato e speranza.
Per mantenere e approfondire le motivazioni interiori del proprio impegno sociale e politico, è necessario al cristiano laico un cammino permanente di formazione. Nessuno acquisisce improvvisamente e automaticamente la capacità di essere e di vivere da cristiano, e per di più da cristiano laico. La sintesi vitale tra la fede, la spiritualità e la vita, con tutte le sue realtà quotidiane, è un frutto che matura dopo una lunga e paziente coltivazione; è una meta che richiede un cammino programmato con sapienza. La qualità dell’impegno sociale e politico del cristiano laico è proporzionale alle sue motivazioni interiori, alla sua spiritualità, al suo cammino formativo.

La questione del discernimento
La terza questione che vi propongo è quella del discernimento. Sappiamo che il cristiano laico vive nella storia, che è, per definizione, lo spazio delle realtà non assolute ma contingenti, mutevoli, parziali, imperfette. A differenza dei principi, dei valori etici, delle verità di fede, la storia permette sempre e solo scelte parziali, non definitive e, perciò, mutevoli, criticabili, migliorabili. L’impegno del cristiano laico è quello di individuare, nelle situazioni concrete, i passi realisticamente possibili per dare attuazione alla fede, ai principi e ai valori morali. Ogni comunità cristiana, collocata nel tempo e nel territorio, ma ancor più ogni cristiano, deve entrare nelle pieghe della storia per operare le scelte necessarie, sulla linea del Vangelo e del servizio agli uomini. Tutto questo esige un metodo concreto ed efficace, quale guida alla pratica del discernimento, personale e comunitario, in situazioni particolari.
Vale la pena richiamare gli elementi più rilevanti di tale metodo proposti dal Compendio:
a. la conoscenza della situazione nella maniera più obiettiva possibile, con l’aiuto delle scienze e degli strumenti adeguati;
b. la riflessione sistematica alla luce della fede; è questo forse il momento più difficile, perché comporta il passaggio da un lavoro intellettuale, conoscitivo, oggettivo, ad un lavoro personale che si muove sulla linea della comunione spirituale con lo Spirito Santo e con la Chiesa, e della comunicazione-confronto coi fratelli di fede;
c. l’individuazione delle scelte possibili che la fedeltà al Vangelo richiede e permette nella situazione concreta.
Il problema si fa difficile quando il cristiano è chiamato a fare delle scelte e a valutare le scelte altrui in ambiti o realtà che implicano valori etici prioritari, quali la sacralità della vita, l’indissolubilità del matrimonio, la correttezza delle informazioni, il senso della ricerca scientifica, le opzioni economiche che vanno a incidere sulla vita dei cittadini, specialmente dei più poveri. Sono le situazioni nelle quali i cristiani si imbattono ogni giorno, sia nella vita personale sia nella vita pubblica.
Una situazione emblematica è costituita dal sistema democratico. Succede talora che, attraverso il gioco della democrazia, vengano approvate leggi che sono contrarie ai principi e ai valori che un cristiano vive e propone. Il cristiano si trova, a questo punto, in una impasse: o abdicare ai propri valori e principi o abbandonare la strada della democrazia e della convivenza sociale. [1]
In queste difficili e complesse situazioni si cercherà di far tesoro di alcuni fondamentali criteri di giudizio e di decisione:
- Il primo riguarda la distinzione e insieme la connessione tra l’ordine legale e l’ordine morale: non sempre il primo corrisponde al secondo. Si tratta di un criterio sempre più necessario nel contesto di una società pluralistica e di una legislazione civile che tende ad allontanarsi dai valori e dai principi morali immutabili e universali.
- Il secondo criterio riguarda la fedeltà alla propria identità e, nello stesso tempo, la disponibilità al dialogo con tutti e su tutto.
- Il terzo criterio riguarda la necessità che nel suo impegno sociale e politico il cristiano laico cresca sempre di più in una triplice e inscindibile fedeltà: ai valori naturali, rispettando la legittima autonomia delle realtà temporali; ai valori morali, promuovendo l’intrinseca dimensione etica di ogni problema sociale e politico; ai valori soprannaturali, realizzando il suo compito nello spirito di Gesù Cristo, ossia con la Sua grazia e la Sua carità.

Alcuni impegni urgenti
Permettetemi ora qualche breve richiamo ad alcune urgenze attuali, nella speranza che possa essere di una qualche utilità soprattutto per i cristiani laici.
a) Riscoprire il bene comune. Se qualcuno di voi ha la pazienza e la disponibilità di scorrere le pagine dell’Indice analitico del Compendio, si accorgerà che la voce bene comune è una tra le più consistenti. Qualche volta, si ha, invece, l’impressione che questa voce sia stata derubricata dall’agenda della vita economica e politica attuale. La dottrina sociale continua a proporla con forza ed insistenza, descrivendo il bene comune con queste parole: «Il bene comune non consiste nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale. Essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro. Come l’agire morale del singolo si realizza nel compiere il bene, così l’agire sociale giunge a pienezza realizzando il bene comune. Il bene comune, infatti, può essere inteso come la dimensione sociale e comunitaria del bene morale» (Compendio, n.164).
Del bene comune il Compendio ha soprattutto una visione sussidiaria, in quanto esso va perseguito favorendo partecipazione e assunzione di responsabilità nella piena valorizzazione del principio di sussidiarietà. È questo un tema di grande attualità. Afferma il Compendio: «Il principio di sussidiarietà protegge le persone dagli abusi delle istanze sociali superiori e sollecita queste ultime ad aiutare i singoli individui e i corpi intermedi a sviluppare i loro compiti. Questo principio si impone perché ogni persona, famiglia e corpo intermedio ha qualcosa di originale da offrire alla comunità. L’esperienza attesta che la negazione della sussidiarietà, o la sua limitazione in nome di una pretesa democratizzazione o uguaglianza di tutti nella società, limita e talvolta anche annulla lo spirito di libertà e di iniziativa» (n. 187).
b) Intensificare il rapporto tra l’etica e l’economia. Nell’approccio all’economia, il Compendio sottolinea fortemente il rapporto con l’etica (cf. nn. 330-335). L’economia e le istituzioni economiche si occupano di quella dimensione della vita socio-relazionale dell’uomo che ricerca le possibilità di far fronte, in modo quantitativamente e qualitativamente apprezzabile, ai bisogni primari posti dalla sua esistenza nel mondo. Si situa in questa prospettiva la dimensione intrinsecamente etica dell’economia, sia come aspetto della vita pratica dell’uomo sia come scienza. Infatti la persona umana è al centro della ricerca e della prassi economica, come più volte ribadito dal Magistero sociale della Chiesa che è giunto a dichiarare l’uomo come «l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale» (Gaudium et Spes, 63). L’economia – soprattutto se consideriamo i temi connessi alla valutazione del mercato, del suo rapporto con lo Stato - ha esplicitamente bisogno dell’etica, perché entrambe trovano il loro fondamento e la loro ragion d’essere nell’uomo, entrambe sono tese, secondo prospettive diverse, a comprenderlo in tutta la sua piena dignità. c) Il contributo dei cristiani alla comunità politica e alla democrazia. Il Compendio afferma che il primo contributo che la Chiesa offre alla comunità politica è di tipo religioso e conforme alla propria missione: è quello di conservare e promuovere nella coscienza comune il senso della trascendente dignità della persona umana. Come afferma la Gaudium et spes al n. 26: «… il fermento evangelico ha suscitato e suscita nel cuore dell’uomo un’irrefrenabile esigenza di dignità». Nel messaggio di Cristo la comunità degli uomini può trovare la forza per saper amare il prossimo come un altro se stesso, per combattere tutto ciò che è contro la vita, per ammettere la fondamentale uguaglianza di tutti, per lottare contro ogni forma di discriminazione, per superare un’etica puramente individualistica nella prospettiva dell’amicizia civile (cf. Compendio, nn. 390- 392).
Il Compendio tratta anche della democrazia, il sistema politico che, meglio di altri, favorisce la partecipazione e quindi la solidarietà reciproca e la collaborazione nell’ambito della comunità politica. Sintetizzerei la riflessione del Compendio sulla democrazia in questi termini: essa è strumento e non fine, tuttavia anche se è solo strumento non deve essere ridotta a pura procedura: «Un’autentica democrazia non è solo il risultato di un rispetto formale di regole, ma è il frutto della convinta accettazione dei valori che ispirano le procedure democratiche» (n. 407). Per questo il Compendio intende e propone la democrazia come un sistema politico di protezione e di sviluppo della persona umana. Nella prospettiva del Compendio, la democrazia è da intendere non solo come libertà politica ed elettorale, ma soprattutto come tutela e sviluppo della persona, concepita come un essere incondizionato. La visione cristiana della persona è contraddistinta da una assolutezza che deriva alla persona umana dal fatto di essere imago Dei, immagine di Dio: ciò impedisce di ridurla ad altro, di considerarla mezzo e non fine, di intenderla in senso parziale e riduttivo. Impone, invece, di concepirla nella sua apertura orizzontale e verticale e in una capacità di relazione con gli altri e con Dio nella verità e nel bene. Una vera democrazia ha bisogno di quest’anima umanista e personalista (cf. n. 407).
d) Coltivare un buon rapporto con la natura. Il Compendio ne tratta, con equilibrio e saggezza, nel capitolo sulla salvaguardia dell’ambiente. Il punto chiave proposto dal Compendio è il seguente: l’agire umano nei confronti della natura deve essere eticamente orientato. Il problema ecologico va quindi percepito come problema etico, dato che esiste una costante interazione tra la persona umana e la natura (cf. nn. 461-465). La natura non è intesa in senso etico quando viene idolatrata e nemmeno se viene usata come campo indiscriminato di esercizio della tecnica. Nella prospettiva del Compendio, quella ecologica è anche un’emergenza antropologica. Il modo di rapportarsi con il mondo dipende dal modo in cui l’uomo si rapporta con se stesso. Ma bisogna anche aggiungere che il modo con cui l’uomo guarda dentro se stesso dipende da come egli si rivolge a Dio. Quando l’uomo vuole porsi al posto di Dio, perde di vista anche se stesso e la sua responsabilità di governo della natura (cf. n. 487). e) La promozione della pace. Possiamo comprendere la riflessione del Compendio sulla pace se distinguiamo la pace intesa come assenza di guerra dalla pace concepita come vita pienamente umana. Il Compendio si occupa più volte della pace nel primo significato, ma si occupa ancora di più, infinitamente di più e costantemente, della pace nel secondo significato. Questa è infatti la pace piena, che comprende la verità, la libertà, la giustizia, e che sola permette di approdare e ancorarsi saldamente anche alla pace intesa come assenza di guerra. Credo di non sbagliarmi se affermo che il Compendio parla di pace sempre, anche quando non adopera questa parola; parla di pace anche quando parla di giustizia o di solidarietà, dell’unità della famiglia umana, del progetto di Dio sull’umanità, dei diritti di ogni uomo e dei suoi relativi doveri e della dignità della persona umana, dei popoli e delle culture. Nel Compendio la pace acquista pertanto anche un forte significato culturale, tanto rilevante al giorno d’oggi. Il senso del rispetto reciproco delle proprie tradizioni religiose e culturali, il dialogo tra le religioni, la cooperazione internazionale, la cultura dell’accoglienza sono tutte dimensioni fondamentali che favoriscono la pace. Secondo il Compendio si gioca qui il senso ultimo della costruzione della convivenza umana e, quindi, della pace (cf. nn. 494-496).

Conclusione
Mi avvio alle conclusioni, ponendo in collegamento il Compendio con la prima enciclica del Santo Padre Benedetto XVI. Nel cuore stesso della Deus caritas est, infatti, – specialmente nei paragrafi 26-29 – viene evidenziato il ruolo della dottrina sociale della Chiesa, illustrata, nel paragrafo 27, anche nella sua articolazione storica dalla Rerum novarum alla Centesimus annus. Nello stesso luogo, inoltre, si ricorda la pubblicazione, nel 2004, del Compendio della dottrina sociale della Chiesa, che ha presentato in modo organico l’intero insegnamento sociale della Chiesa. Si può dire che l’Enciclica accoglie in sé non solo qualche aspetto della dottrina sociale, ma l’intero moderno magistero sociale della Chiesa. La dottrina sociale viene collocata dentro – e non a margine – dell’annuncio cristiano che Dio è amore. La dottrina sociale viene quindi organicamente collegata con la carità che, come virtù teologale, è la stessa vita divina che nutre la Chiesa in servizio al mondo, e come virtù umana è quell’amicizia sociale e civile senza cui i legami comunitari tra gli uomini si indeboliscono e vacillano. L’Enciclica annuncia la carità come l’essenza stessa di Dio e proprio per questo non tralascia di considerare gli aspetti umani e sociali dell’amore, che da quella Luce sono illuminati e purificati. Dentro questo dialogo tra il divino e l’umano si colloca la dottrina sociale della Chiesa, che deve continuamente appellarsi alla carità della vita divina e nello stesso tempo chinarsi amorevolmente sui bisogni dell’umanità.
Il collegamento tra dottrina sociale della Chiesa e carità è quindi molto intimo. Tale dottrina è servizio alla singola persona conosciuta e amata nella pienezza della sua vocazione e ha come scopo la cura e la responsabilità per l’uomo, affidato da Cristo stesso alla Chiesa. Del resto, il nesso originario della dottrina sociale della Chiesa con la carità di Dio – o con Dio che è carità – sta nel fatto decisivo ed essenziale che la Chiesa, con tale dottrina, «proclama la verità su Cristo, su se stessa e sull’uomo» (Sollicitudo rei socialis n. 41) e il cuore di questo annuncio è che Dio è amore. Non è per caso che il Compendio della dottrina sociale della Chiesa comincia con un capitolo intitolato Il disegno di amore di Dio per l’umanità e termina con un capitolo conclusivo che reca il titolo: Per una civiltà dell’amore.

Nota:
[1] . La risposta che la Centesimus annus offre prospetta una strada impegnativa e con passi progressivi. «Non è di questo tipo la verità cristiana. Non essendo ideologica, la fede cristiana non presume di imprigionare in un rigido schema la cangiante realtà socio-politica e riconosce che la vita dell’uomo si realizza nella storia in condizioni diverse e non perfette. La Chiesa, pertanto, riaffermando costantemente la trascendente dignità della persona, ha come suo metodo il rispetto della libertà» (46). E continua: «Ma la libertà è pienamente valorizzata soltanto dall’ accettazione della verità: in un mondo senza verità la libertà perde la sua consistenza, e l’uomo è esposto alla violenza delle passioni ed a condizionamenti aperti od occulti. Il cristiano vive la libertà (cfr. Gv 8, 31-32) e la serve proponendo continuamente, secondo la natura missionaria della sua vocazione, la verità che ha conosciuto. Nel dialogo con gli altri uomini egli, attento ad ogni frammento di verità che incontri nell’esperienza di vita e nella cultura dei singoli e delle Nazioni, non rinuncerà ad affermare tutto ciò che gli hanno fatto conoscere la sua fede ed il corretto esercizio della ragione» (ib).