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Apertura Anno pastorale 2022/2023

 
 

DIOCESI DI TRIESTE


APERTURA ANNO PASTORALE 2022/2023


✠ Giampaolo Crepaldi


Cattedrale di San Giusto, 2 ottobre 2022



Carissimi fratelli e sorelle, predragi bratje in sestre!

1.      Con questo incontro di preghiera, posto all’inizio del nuovo anno pastorale, vogliamo affidare la nostra Diocesi al Signore, invocando la sua benedizione e la sua protezione sull’impegno di tutti a custodirla e coltivarla come famiglia dei figli di Dio. Questo nostro avviare l’anno pastorale nella preghiera ci consentirà di cogliere con maggiore chiarezza il cuore del nostro impegno pastorale per quest’anno. Solitamente quando ci capita di usare la parola ‘pastorale’ la associamo impropriamente all’idea di uffici, di riunioni, di documenti, di programmi, che spesso si rivelano più un peso che un aiuto alla nostra missione di evangelizzazione. Evidentemente il mio non è un invito a fare tabula rasa, ma piuttosto a trovare il passo giusto per continuare, con determinazione e lungimiranza, il cammino sinodale che abbiamo già intrapreso l’anno scorso accogliendo le sollecitazioni di Papa Francesco e dei Vescovi italiani. Vale quindi la pena che ci facciamo qualche domanda: qual è il cammino che assieme stiamo facendo alla sequela di Cristo? Quali sono le tappe fondamentali di questo cammino, verso una consapevolezza più matura del dono della fede? Di che cosa necessitano le nostre comunità? Che cosa può aiutarle ad aprirsi generosamente alle persone per aiutarle a scoprire Cristo, il suo Vangelo, nell’esigente esperienza della vita che egli ha portato?

2.         Carissimi fratelli e sorelle, la proposta che faccio per questo anno pastorale è sostanzialmente quella che ci è stata indicata dalla CEI, che ha il suo punto ispirativo nel brano del Vangelo di san Luca dove si racconta di una donna, chiamata Marta, che accolse Gesù nella sua casa. “Lo accolse come si è soliti ricevere i pellegrini – commentò sant’Agostino –. Anche se in realtà la serva ricevette il suo Signore, la malata il suo Salvatore, la creatura il suo Creatore”. Il racconto ci informa che questa Marta aveva una sorella chiamata Maria la quale, invece di darle una mano, godeva della conversazione con Gesù “non solo seduta vicino a Lui – precisò san Giovanni Crisostomo –, ma ai suoi piedi; per manifestare la sollecitudine, l’assiduità, il desiderio di ascoltarlo e il grande rispetto che voleva dimostrare al Signore”. Alla fine Marta, stanca e infastidita, apostrofò il Signore, invitandolo a chiedere a Maria di collaborare. A questo punto giunge la lezione fondamentale del Maestro: “Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta”. Nel corso della storia questo racconto è stato molto meditato e interpretato. Spesso Marta è stata vista come simbolo dell’azione in questo mondo, mentre Maria come un simbolo della contemplazione. A questo riguardo, è bene fare nostro quanto ha scritto Papa Francesco: “Qual è questa cosa sola di cui abbiamo bisogno? Anzitutto è importante capire che non si tratta della contrapposizione tra due atteggiamenti: l’ascolto della parola del Signore, la contemplazione, e il servizio concreto al prossimo. Non sono due atteggiamenti contrapposti, ma, al contrario, sono due aspetti entrambi essenziali per la nostra vita cristiana”.

3.         Predagi bratje in sestre, la lezione che ci viene dal Vangelo di Luca ci impegna a dare concreta attuazione nella nostra Diocesi ai cantieri che sono stati individuati dalla CEI per questo secondo anno del cammino sinodale della Chiesa italiana nell’ambito di quella sua prima fase che viene denominata narrativa. Essi sono stati ben descritti e proposti dai brevi interventi che abbiamo ascoltato. A me preme solamente mettere in luce due punti che ritengo necessari per dare coerenza e unità al nostro camminare sinodale. In primo luogo, lungo il cammino sinodale è importante continuare a essere cultori infaticabili della Parola di Dio. Nell’ascolto personale e comunitario e nella risposta d’amore alla Parola di Dio, conseguiamo la vera beatitudine. Beati coloro che custodiscono la parola di Dio (cf. Lc 8, 15). Gesù stesso dirà: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!” (Lc 11, 28). In quest’ascolto religioso della Parola, tradotto poi in vita feconda, Gesù ci indica il vero legame di fraternità con Lui e di figliolanza con Dio Padre: “Mia madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 8, 21). Su questo presupposto va modellato il delicato e prezioso ministero della Parola affidato a noi sacerdoti e ai diaconi, particolarmente nell’omelia. La centralità della Parola di Dio deve inoltre emergere nella catechesi e in tutta l’opera di formazione che si dipana in Diocesi. In secondo luogo, coltivare lungo il cammino sinodale un amore appassionato all’Eucaristia. Nel cammino sinodale, l’Eucaristia dovrà essere il cantus firmus della nostra Chiesa quale fonte e culmine della sua comunione, alimento insostituibile per la sua missione. La nostra Chiesa diocesana imparerà così a essere casa di comunione nella quale trovano accoglienza gioiosa soprattutto i poveri di beni dello spirito e i poveri di beni materiali. Citando san Giovanni Paolo II, possiamo dire che l’Eucaristia è la miglior scuola perché tutti i cristiani crescano “in una rinnovata coscienza di Chiesa grazie alla quale, nella partecipazione all’unico dono e nella collaborazione all’unica missione, tutti imparino a comprendersi e a stimarsi fraternamente, ad aspettarsi e a prevenirsi reciprocamente, ad ascoltarsi e a istruirsi instancabilmente, affinché la casa di Dio, cioè la Chiesa, sia edificata dall’apporto di ciascuno e perché il mondo veda e creda (cf. Gv 17, 21)”.

4.         Carissimi fratelli e sorelle, il 29 settembre scorso ho compiuto 75 anni e, seguendo la direttiva canonica, ho presentato al Santo Padre Francesco la rinuncia all’ufficio di Vescovo diocesano di Trieste. In questa circostanza dico al Signore il mio grazie per avermi concesso la grazia di condividere con voi il dono inestimabile della fede e della carità di Cristo. Vi confesso che negli anni del mio episcopato qui a Trieste ho sempre fatto riecheggiare nel mio cuore la domanda di Gesù presente nel Vangelo di Luca: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (18,8). È una domanda dai toni drammatici, che ci fa quasi temere che la fiamma della fede possa estinguersi, proiettandoci nella tenebra più fitta. A questa domanda, come vescovo, ho cercato di rispondere, ravvivando costantemente nelle nostre comunità il dono della fede che le generazioni passate di cristiani triestini hanno custodito, coltivato e trasmesso a noi affinché anche noi, raccogliendone il testimone, fossimo nella condizione di custodirlo oggi, per trasmetterlo alle generazioni che verranno. Come non ricordare in questa occasione i santi della Chiesa di Trieste, da san Giusto fino al beato Francesco Bonifacio, che versarono il loro sangue prezioso per salvaguardare anche per noi il dono della fede cristiana? Come non ricordare qui anche la preziosa attività pastorale dei Vescovi miei predecessori – Mons. Santin, Mons. Bellomi, Mons. Ravignani –, di piissimi sacerdoti (tra gli altri Mons. Ukmar e Mons. Labor), di diaconi, di religiosi e religiose e di fedeli laici che ci hanno trasmesso il dono della fede in una ininterrotta catena temporale di solidarietà spirituale? Giunto alla conclusione del mio ministero qui a Trieste, vi dico di continuare a custodire e a coltivare il dono inestimabile della fede cristiana. Affidiamo tutto alla Vergine Maria che in questa nostra Cattedrale è raffigurata mentre contempla e adora Gesù bambino, il Verbo fatto carne. La protezione della Madonna, che oggi invochiamo in questo nuovo anno pastorale che comincia, ci accompagni lungo il nostro cammino sinodale che vogliamo percorrere con passo lieto e leggero.