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STORIA

Lo stemma della Diocesi di Trieste

 

Descrizione Araldica (blasonatura)
dello stemma della Diocesi di Trieste

“Partito: nel 1° di rosso alla fascia d’argento, caricato dell’alabarda di San Sergio d’oro, posta in palo e uscente dalla partizione; nel 2° dello stesso all’aquila bicipite di nero, coronata, membrata e lampassata d’oro, uscente dalla partizione. Col capo d’argento, a due rami di palma di verde in decusse, attraversati dal monogramma PX di rosso.”

 
Ragioni per un nuovo stemma della Diocesi

Paolo VI, con la Costituzione Apostolica “Prioribus sæculi” (17 ottobre 1977), divideva i due territori delle unite Diocesi di Trieste e Capodistria e dichiarava conclusa l’unità “equæ principaliter” delle due diocesi nella persona del Vescovo tergestino sin dal 1828.

In tale occasione anche lo stemma araldico delle unite diocesi veniva a cessare. Fu sostituito da un “logo” che riportava le fattezze della statua di San Giusto collocata su un lato del campanile della Cattedrale tergestina. La scritta in latino ricordava che San Giusto è il patrono della Chiesa di Trieste.

È sembrato opportuno da più parti che la Diocesi avesse un suo stemma araldico che richiamasse la sua storia e l’habitat ecclesiastico in cui Trieste era ed è inserita.

Si tratta di un’attenzione culturale nel linguaggio araldico e nello stile delle Diocesi del centro Europa dove, quale suffraganea della Metropolia di Gorizia, è collocata.

Per assolvere a questo compito, ci si è rivolti a esperti in araldica e si sono tenute presenti le varie obiezioni non volendo né falsare l’iter storico della Diocesi per l’uno e l’altro placebo ideologico, né sottacere la ragione dell’essere Chiesa che è l’annunciare Cristo anche con il martirio.

Lo scudo araldico si presenta nella sua parte inferiore con il richiamo alla storia della Chiesa tergestina, la divisione scomposta e a metà dello stemma federiciano di Trieste del 1464, rosso e bianco con l’alabarda dorata e l’aquila nera in campo giallo del Sacro Romano Impero, sono il segno di un “tempo concluso” in cui la Chiesa tergestina aveva il “patrocinio imperiale” grazie al quale ebbe come suo Vescovo Enea Silvio Piccolomini, poi Pontefice Romano con il nome di Pio II.

La campitura più importante dello scudo araldico è il “capo”, dove campeggia il monogramma di Cristo, che richiama Aquileia, tra le due palme simbolo dei martiri tergestini, ultimo il beato don Francesco Bonifacio.

«Il colore rosso del Chrismon manifesta la dimensione sacrificale della redenzione e rimanda alle tre virtù teologali (fede, speranza e carità): di cui “più grande di tutti è la carità” (1Cor 13,13), è il colore dell’amore senza limiti del Padre che ha inviato il Figlio ad offrirsi fino all’estremo ed a versare il proprio sangue per la nostra redenzione.

Il colore del capo è l’argento che in araldica rappresenta la trasparenza, quindi la verità e la Giustizia. »

Il cartiglio con il motto “in Christo salus” richiama la convinzione cristologica del Concilio Vaticano II, al n. 22 della Gaudium et Spes, e intende offrire una riflessione all’Europa sulle sue radici Cristiane e alla Chiesa tergestina sul suo impegno di annunciare e testimoniare Cristo speranza e salvezza delle genti.

Sul timbro, attorno allo stemma, vi è la scritta “Sancta Ecclesia Tergestina”; il latino viene usato non solo perché utilizzato nella araldica classica, ma anche per dare pari dignità alle espressioni linguistiche dei fedeli della Diocesi, come già il Sinodo diocesano del 1959 aveva focalizzato.