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Muggia in festa per i restauri del Duomo

 
 

DIOCESI DI TRIESTE


ASCENSIONE DEL SIGNORE


✠ Giampaolo Crepaldi


Muggia, 16 maggio 2021



Carissimi fratelli e sorelle in Cristo!

1.        Celebriamo oggi l’avvenimento dell’ascensione al cielo di Cristo nostro salvatore, avvenimento con il quale si compie il passaggio della sua umanità crocefissa – cioè del suo corpo e della sua anima – alla pienezza della gloria divina. Nella contemplazione del mistero dell’ascensione risaltano soprattutto due dimensioni: una riguardante la persona di Gesù, l’altra riguardante le nostre persone. La prima: con la sua ascensione al cielo Cristo è costituito Signore di tutto ciò che esiste; non c’è più nulla che sfugge al suo potere salvifico. La storia umana, che a causa della nostra miopia spirituale sembra essere dominata dal caso o dall’arbitrio, è in realtà pienamente diretta e governata dalla potenza di Cristo. Questa mirabile verità di fede impedisce a noi cristiani di cadere vittime della confusione e dell’indifferenza o di essere sopraffatti dallo scoraggiamento e dalla paura. La seconda dimensione: il mistero che oggi celebriamo è luce che illumina il nostro destino finale. Noi non siamo destinati ad un nulla eterno, ma alla vita eterna. Con la sua incarnazione, infatti, il Figlio di Dio si è unito in un qualche modo con ciascuno di noi, così che ciò che è accaduto a Lui ed in Lui è destinato ad accadere anche a noi ed in noi. Ci liberi pertanto il Signore da ogni visione dell’uomo secondo la quale il suo destino si chiude dentro al tempo. La negazione che l’uomo sia destinato all'eternità è la base di ogni violazione della dignità umana: il mistero dell’ascensione è la nostra esaltazione.

2.         Carissimi fratelli e sorelle, la celebrazione del mistero dell’ascensione è in stretta relazione alla vita della comunità cristiana. È proprio perché Cristo è asceso al cielo, è stato costituito Re e Signore di tutti, ha illuminato gli occhi della vostra mente così da farci comprendere a quale gloria siamo destinati, che noi oggi siamo qui in questo magnifico Duomo. Vogliamo pertanto ringraziare il Signore per averci fatto la grazia di poter benedire la sua facciata, riportata al suo originario splendore dopo un attento restauro. La gratitudine di tutti va a quanti, nei differenti livelli di responsabilità, hanno contribuito a raggiungere questo significativo traguardo come ha ben illustrato il prof. Cuscito. Nell'ammirare la facciata del Duomo, tra le due eleganti finestre gotiche che affiancano il portale, é sovrapposto un lunettone ad arco inflesso, nel cui interno è situata la rappresentazione della Santissima Trinità adorata dai Santi Giovanni e Paolo: accanto al Padre c'è anche l'umanità glorificata del Figlio, asceso al cielo. E nella parte superiore della facciata abbiamo il magnifico rosone con al centro l'immagine della Madonna con il Bambino che ci invita a continuare con fiducia il vostro cammino, poiché il Signore è asceso per darci la speranza che dove è Lui, capo e primogenito, saremo anche noi sue membra: è questa speranza che va trasmessa ai nostri bambini nella catechesi; che va celebrata con devozione nelle sante liturgie; che va fatta sentire con la nostra carità ad ogni persona bisognosa.

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L'intervento del prof. Giuseppe Cuscito
Ispettore on. ai Beni Archeologici
pubblicato su "il Piccolo" in data 17.05.2021 a pag. 21


Torna a risplendere nel suo candore sotto i raggi del sole meridiano la facciata quattrocentesca del Duomo di Muggia dopo il restauro condotto durante i freddi mesi invernali grazie al contributo dell'amministrazione regionale e sotto la sorveglianza della Soprintendenza per i Beni storici e artistici. Nel corso di tre mesi, grigi anche per il rigore delle restrizioni richieste dalla salute pubblica, siamo stati quasi privati della luce e, vorrei dire, del sorriso a cui invitano quelle studiate forme, ora non più velate da armature e rete di protezione. Si avvertiva una comune sofferenza nel constatare che negli interstizi sempre più larghi tra i conci di pietra a vista spuntavano esuberanti ciuffi d'erbe che vi avevano messo radici profonde, compromettendo la stabilità e il decoro del monumento e richiamando tristemente alla memoria gli «atrii muscosi e i fori cadenti» di manzoniana memoria; a ciò si aggiungeva una formazione muschiosa che ne anneriva il fianco destro attenuando la fulgida luce della pietra, squadrata e levigata da lapicidi di lungo corso, quali la opulenta civiltà veneziana poteva fornire. Ma al di là della luce e del candore, a incantare l'osservatore sono le linee mosse e fluide del suo profilo con quel trilobo ad arco inflesso puntato verso il cielo che svela i suoi misteri nella lunetta sopra il portale: l'immagine solenne della Trinità adorata dai martiri romani Giovanni e Paolo e l'Annunciazione dell'angelo a Maria sono sculture di un periodo di transizione fra il Gotico fiorito e il primo Rinascimento veneziano, che invitano a un godimento estetico ed esprimono il manifesto della fede cristiana, come la Madonna col Bambino al centro del rosone. Siamo di fronte al più bello e qualificato monumento che la cittadina di Muggia possa esibire in un tessuto urbanistico e sociale sostanzialmente modesto e, per quanto sappiamo, privo di manifestazioni culturali che abbiano lasciato tracce concrete e visibili al di fuori di questa elegante facciata, che ha nobilitato il semplice prospetto a capanna di un Duomo preesistente grazie al buon gusto e alla cultura di chi l'ha pensata secondo un progetto di non poco impegno per i cittadini e per l'amministrazione comunale di allora. Se l'architetto resta anonimo, i cittadini e il podestà veneto Pietro dell'illustre casato dei Dandolo, ai quali si deve l'operazione, hanno lasciato memoria di sé nell'epigrafe del 1467 incisa a destra del rosone in belle lettere capitali: oltre all'onore tributato ai patroni di Muggia, Giovanni e Paolo, vi sono ricordati lo zelo del podestà per aver portato a termine il lavoro e la generosa pietà dei cittadini che devono essersi fatti carico delle spese in un momento economicamente florido della cittadina, passata da qualche decennio sotto il dominio di Venezia (1420). A parte l'improvvida iniziativa di un assessore che qualche decennio fa (1982) aveva creduto di dover intervenire con uno strato di pittura bianca sull'ampio e magnifico rosone che alterna il candore della pietra al marmo rosso di Verona, vale la pena ricordare che un intervento più radicale sulla facciata si era reso necessario nel 1865, come attesta l'epigrafe a sinistra del rosone e come documenta dettagliatamente la pratica amministrativa depositata presso l'Archivio di Stato di Trieste. Da quelle scritture veniamo a sapere che già nel 1858 era stato compilato un progetto per la demolizione e la ricostruzione della facciata dal rosone in su «in vista dello stato assai pericoloso del muro strapiombato». Nelle more burocratiche, la Luogotenenza asburgica sollecitò l'intervento, con una ripartizione delle spese tra il fondo della chiesa e il fondo di religione. I lavori, costati 930 fiorini, furono avviati solo nel maggio 1865 e portati a termine il 25 giugno successivo sotto la direzione dell'ingegner Giuseppe de Brodmann.