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Con il Cristo Risorto, dalle tenebre alla luce

 
 

DIOCESI DI TRIESTE


✠ Giampaolo Crepaldi
Arcivescovo-Vescovo di Trieste


Messaggio per la Quaresima 2022


Con il Cristo Risorto,
dalle tenebre alla luce




Carissimi presbiteri, diaconi, consacrati e consacrate, fedeli laici della Chiesa di Trieste: “grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo” (1Cor 1,3).

In Quaresima, le lacrime della penitenza

1. San Leone Magno scrisse: “In ogni tempo è bene per noi vivere con sapienza e santità e indirizzare la nostra volontà e le nostre azioni in ciò che sappiamo piacere alla giustizia divina. Ora, però, avvicinandosi quei giorni della Pasqua, che il mistero della nostra salvezza ha reso celebri, bisogna purificare i nostri cuori con cura più diligente e con più impegno esercitarsi nelle virtù”. È in questa salutare prospettiva di purificazione e di impegno che la Chiesa ci offre il tempo della Quaresima, perché sia più profonda la nostra conversione e nulla di disordinato e peccaminoso abiti nel nostro cuore. In questo modo, arriveremo a celebrare la Pasqua “non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità” (1Cor 5,8). Durante questi quaranta giorni la Chiesa ci raccomanda in particolare la pratica del digiuno, della preghiera e dell’elemosina, che ci riporta alle realtà che non svaniscono. A questo proposito, Papa Francesco ha affermato: “La preghiera ci riannoda a Dio; la carità al prossimo; il digiuno a noi stessi. Dio, i fratelli, la mia vita: ecco le realtà che non finiscono nel nulla, su cui bisogna investire. Ecco dove ci invita a guardare la Quaresima: verso l’Alto, con la preghiera, che libera da una vita orizzontale, piatta, dove si trova tempo per l’io ma si dimentica Dio. E poi verso l’altro, con la carità, che libera dalla vanità dell’avere, dal pensare che le cose vanno bene se vanno bene a me. Infine, ci invita a guardarci dentro, col digiuno, che libera dagli attaccamenti alle cose, dalla mondanità che anestetizza il cuore. Preghiera, carità, digiuno: tre investimenti per un tesoro che dura”.

2. “Ci sono l’acqua e le lacrime: l’acqua del battesimo e le lacrime della penitenza”: con questa affermazione, sant’Ambrogio invitava ad “affrontare vittoriosamente con le armi della penitenza il combattimento contro lo spirito del male”, come leggiamo nell’orazione della Messa del Mercoledì delle Ceneri. Tra queste armi va preso in seria considerazione il sacramento della Riconciliazione. A questo riguardo, vi suggerisco di iniziare la Quaresima con una buona confessione, di ritornarci a metà percorso per una verifica e di confessarvi poi di nuovo alla fine, nell’imminenza della Santa Pasqua. Vi suggerisco inoltre di prendere parte alle celebrazioni penitenziali che solitamente vengono organizzate nelle nostre parrocchie. Sono incontri di preghiera utilissimi, che hanno lo scopo di farci ascoltare la Parola di Dio, di invitarci al rinnovamento della vita e di annunziarci la liberazione dal peccato, per mezzo della morte e risurrezione di Cristo. Inoltre, la virtù della penitenza va esercitata nella fedeltà perseverante ai doveri del proprio stato, nell’accettazione delle difficoltà provenienti dal proprio lavoro, nella paziente sopportazione delle prove della vita e dell’insicurezza che la pervade. Come vivere questo tempo di penitenza? Questa la risposta di Papa Francesco: “La Quaresima non è un tempo triste! A questo dobbiamo essere attenti. È un tempo di penitenza, ma non è un tempo di lutto. È un impegno gioioso e serio per spogliarci del nostro egoismo, del nostro uomo vecchio, e rinnovarci secondo la grazia del nostro Battesimo”.

3. Per questo mio messaggio quaresimale ho scelto il seguente tema: Con il Cristo Risorto, dalle tenebre alla luce. È un tema che richiama il dinamismo del passaggio dal meno al più, un dinamismo tipicamente pasquale quando in Cristo Risorto si realizzò proprio il passaggio dalla morte alla vita. È un dinamismo poi che tocca le corde più intime della nostra esistenza, dei desideri del nostro cuore, delle nostre aspirazioni più alte e più autentiche, incessantemente in cerca come siamo di abbandonare la terra inospitale delle tenebre per raggiungere quella florida della luce. La mancanza di questa terra l’abbiamo avvertita durante la tenebrosa vicenda della pandemia da Covid-19 – vicenda insieme dolorosa e angosciante – che ha stravolto il normale e ordinato svolgersi delle nostre vite e delle nostre società. L’avvertiamo ora che, al dramma della pandemia, si è aggiunto quello della guerra in Ucraina nel cuore dell’Europa, con il suo tenebroso carico di morte e di dolore. Carico che noi qui a Trieste abbiamo sperimentato durante il cosiddetto secolo breve con le conseguenze distruttive di due guerre mondiali. Ci sembra che tutto precipiti nelle tenebre del male, come se l’umanità sia resa cieca dal fascino della perversione che la trascina nei bassifondi del peccato. Precipitati in un gorgo senza sbocchi, eccoci a implorare la luce, con un carico lacerante di domande: dove cercarla? Chi può illuminarci? Come raggiungere questa luce? Questo mio messaggio tenta, con l’aiuto soprattutto che viene dalla Sacra Scrittura, di offrire qualche spunto di meditazione per formulare una risposta a queste domande. Per il dono incommensurabile della fede, noi cristiani conosciamo quel dinamismo pasquale a cui ho fatto cenno per cui siamo certi che alla tenebra succede la luce, alla notte subentra il giorno e, in definitiva, la morte è vinta dalla vita. Una certezza che è garantita dall’Apostolo Paolo che ci invita a guardare l’orizzonte dove la lama luminosa dell’alba taglia l’oscurità: “Un tempo infatti eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. Cercate di capire ciò che è gradito al Signore. Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto, ma piuttosto condannatele apertamente” (Ef 5,8-11).

La luce, la creazione, la vocazione, i volti

4. Il primo spunto tematico che vi offro lo prendo dalle prime pagine della Bibbia, propriamente dal libro della Genesi, dove si racconta la creazione del mondo (cf. Gen 1,1-27). Si tratta di un racconto che, attraverso il riferimento alla luce, ci offre un singolare quadro per dare un senso compiuto alla nostra vita, al mondo in cui siamo inseriti e alla storia. La Chiesa ci fa ascoltare questo racconto all’inizio della Liturgia della Parola nella Veglia pasquale. In esso sono evidenziate due cose particolarmente importanti. In primo luogo, i sei giorni impegnati da Dio per la creazione del mondo tendono tutti verso il settimo giorno, giorno libero dal lavoro che le creature devono dedicare a Dio e a loro stesse. La creazione è quindi tutta protesa verso la comunione tra Dio e la creatura ed esiste per essere uno spazio di un incontro di amore. In secondo luogo, la prima frase del racconto della creazione è: “Dio disse: «Sia la luce!»” (Gen 1,3). Il racconto inizia appunto con la creazione della luce. Il sole e la luna vengono creati dopo, nel quarto giorno e vengono denominati fonti di luce. In questo modo vengono privati di ogni caratterizzazione divina che le grandi religioni avevano loro attribuito. Non sono dei, ma corpi luminosi, creati dall’unico Dio. Sono però preceduti dalla luce, mediante la quale la gloria di Dio si riflette nel creato e nelle creature. Che cosa ci insegna questo racconto? Ci insegna che la luce rende possibile la vita, l’incontro, la comunicazione e la comunione. Rende possibile la conoscenza, l’accesso alla realtà e alla verità. E rendendo possibile la conoscenza, rende possibile la libertà e il progresso. Scrisse il Papa emerito Benedetto XVI: “La luce pertanto è anche espressione del bene che è luminosità e crea luminosità. Il fatto che Dio abbia creato la luce significa che Dio ha creato il mondo come spazio di conoscenza e di verità, spazio di incontro e di libertà, spazio del bene e dell’amore. La materia prima del mondo è buona, l’essere stesso è buono. E il male non proviene dall’essere che è creato da Dio, ma esiste in virtù della negazione”.

5. Il secondo spunto tematico che vi offro lo prendo da quelle pagine della Bibbia dove si racconta come la luce di Dio susciti vocazioni. Chi si lascia inondare dalla luce di Dio è chiamato ad esserne il riflesso, attraverso un generoso impegno di tutta la vita. Nella Sacra Scrittura di Dio si dice: “Il suo splendore è come la luce, bagliori di folgore escono dalle sue mani: là si cela la sua potenza” (Ab 3,4). Quei bagliori di folgore suscitarono le vocazioni di Abramo, di Mosè, dei profeti… Qui però desidero attirare la vostra attenzione sulla vocazione del servo sofferente di Jahwè, perché ci permette di capire che anche la sofferenza e il dolore possono essere mirabili occasioni di luce e di grazia. In che modo questo è possibile? Prendiamo allora in mano i quattro carmi che troviamo nel libro di Isaia (cf. Is 42,1-4; 49,1-6; 50,4-11; 52,13-53,12) che descrivono la parabola esistenziale e spirituale della vocazione del servo. Nel primo, si presenta il momento della sua chiamata e elezione da parte di Dio (cf. Is 42,1-4); nel secondo, viene descritta la sua missione universale (cf. Is 49,1-6); nel terzo, il giudizio e la prova degli uomini, di fronte ai quali dovrà testimoniare la sua fedeltà a Dio (cf. Is 50,4-11); nel quarto, viene delineato l’esito della sua missione che consiste nel dono totale della vita in riscatto per il suo popolo (cf. Is 52,13-53,12). Tutto termina con questo versetto: “Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità” (Is 53,11). In tutto il racconto il simbolismo della luce è unito con l’esistenza sofferente del servo, un’esistenza realizzata proprio attraverso la sofferenza e feconda di bene e salvezza perché porta a compimento il progetto di Dio.

6. Il terzo spunto tematico che vi offro lo prendo da quelle pagine della Bibbia dove si racconta come la luce di Dio illumini e faccia incontrare i volti. A fronte delle tante provocazioni che, nel nostro contesto socio-culturale, toccano la comprensione dell’umano, queste pagine dell’Antico Testamento sui volti contengono un insegnamento di una stringente attualità. La luce caratterizza la vita naturale (cf. Sal 38,11; 56,14) e spirituale dell’uomo (cf. Sal 37,6; 97,11; 112,4): “È in te la sorgente della vita, alla tua luce vediamo la luce” (Sal 36,10). Si tratta di un dono che implica la possibilità per ciascun uomo di riflettere e godere della luce divina. Si colloca qui l’inviolabile dignità di ogni persona umana. Il tutto poi è significato dalla categoria del volto. Benché Dio non sia un uomo (cf. Nm 23,19) e nessuna creatura possa fornire un’idea della sua gloria (cf. Is 40,18; 46,5), nella sua volontà di comunicarsi Egli esprime un suo volto, a volte benevolo (cf. Sal 4,7; 80,4.8.20) a volte adirato (cf. Is 54,8; Sal 30,8; 104,29). Il volto è lo specchio del cuore e di conseguenza la luce del volto di Dio esprime il suo amore e la sua misericordia. In questo senso il desiderio del volto di Dio rivela anche la perenne tensione che abita nel cuore umano: “Il mio cuore ripete il tuo invito: «Cercate il mio volto!». Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto, non respingere con ira il tuo servo. Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi, non abbandonarmi, Dio della mia salvezza” (Sal 27,8-9).

Cristo, luce del mondo

7. Il quarto spunto tematico che vi offro riguarda Gesù che di sé dichiara: “lo sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12). Con questo versetto siamo giunti al cuore della nostra meditazione sulla luce, perché ci viene rivelato che la luce è Gesù stesso e che, se vogliamo uscire dalle tenebre, non abbiamo altra strada che incontrarlo e seguirlo per entrare in una relazione di amore con il suo mistero di luce e di vita. A marcare questa mirabile prospettiva spirituale è l’evangelista Giovanni che possiamo chiamare come l’evangelista della luce. Nel Prologo al suo Vangelo presenta l’incarnazione del Figlio e la sua venuta nel mondo come dono di vita e di luce che splende nelle tenebre (cf. Gv 1,4-5). La combinazione luce-vita ritorna anche nel discorso che Gesù rivolge ai giudei increduli: “Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre” (Gv 12,46). E ancora: “Allora Gesù disse loro: «Ancora per poco tempo la luce è tra voi. Camminate mentre avete la luce, perché le tenebre non vi sorprendano; chi cammina nelle tenebre non sa dove va. Mentre avete la luce, credete nella luce, per diventare figli della luce»” (Gv 12,35-36). Pieno di suggestioni spirituali il dialogo tra Gesù e Nicodemo: “E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio” (Gv 3,19-21).

8. Il quinto spunto tematico che vi offro riguarda le tenebre e le notti dolorose che Gesù dovette affrontare e patire – come il servo sofferente di Jahwè – per garantire la luce. Dall’inizio al termine della sua esistenza terrena Gesù è entrato nelle tenebre della notte. Soprattutto la sua vita pubblica fu preceduta dalla prova del deserto, quaranta giorni e quaranta notti (cf. Mt 4,2) e fu segnata dalla preghiera continua al Padre, fatta nella solitudine della notte: per la missione alle genti (cf. Mc 1,35-39; Lc 21,37), per i suoi discepoli (cf. Lc 6,12; Mt 14-23; Mc 3,13-19), nell’angosciosa notte del Getsemani (cf. Mt 26,36-44), sulla croce, per i suoi carnefici (cf. Lc 23,34), fino alla fine, quando si fece buio su tutta la terra (cf. Mt 27,39-50) e nell’oscurità del cosmo si levò al cielo il grido di morte (cf. Lc 23,46), fino alla consegna del Figlio nelle mani del Padre. Poi la sua morte e sepoltura. Ma “all’alba del primo giorno della settimana” (Mt 28,1) si compie il trionfo della luce sulle tenebre, della vita sulla morte: è la Pasqua del Signore Risorto. Con la sua risurrezione la notte tenebrosa diventa un giorno luminoso e fecondo (cf. Gv 21,3-14), il sepolcro resta vuoto per sempre, i guardiani tramortiti, i discepoli stupiti condividono il pane e la gioia (cf. Lc 24,13-35). Gesù Risorto rivela all’umanità Dio, “il solo che possiede l’immortalità e abita una luce inaccessibile” (1Tm 6,16). Tutto trova il suo coronamento in questa straordinaria testimonianza dell’evangelista Giovanni nella prima delle sue Lettere: “Questo è il messaggio che abbiamo udito da lui e che noi vi annunciamo: Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna. Se diciamo di essere in comunione con lui e camminiamo nelle tenebre, siamo bugiardi e non mettiamo in pratica la verità. Ma se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccato” (1Gv 1,5-7).

I cristiani, figli della luce

9. Il sesto spunto tematico che vi offro riguarda noi cristiani che nella luce del Cristo Risorto siamo chiamati ad essere figli della luce. La luce del Risorto interpella la nostra esistenza e coscienza: è l’appello pressante a metterci in gioco di fronte all’alternativa tra la luce e le tenebre. La luce qualifica il regno di Dio rivelato e compiuto in Cristo come regno di giustizia e di bene, mentre le tenebre simboleggiano il male e l’empietà derivanti dal potere satanico (cf. 2Cor 11,14). Su questo punto l’Apostolo Paolo è chiarissimo: “Non lasciatevi legare al giogo estraneo dei non credenti. Quale rapporto infatti può esservi fra giustizia e iniquità, o quale comunione fra luce e tenebre? Quale intesa fra Cristo e Bèliar, o quale collaborazione fra credente e non credente? Quale accordo fra tempio di Dio e idoli?” (2Cor 6,14-15). San Paolo pone noi cristiani di fronte a delle scelte precise: giustizia/iniquità, luce/tenebre, Cristo/Bèliar, fedele/infedele, Dio/idoli e ci indica quale identità dovrà caratterizzare la nostra prassi di cristiani come figli della luce. D’altronde è Gesù stesso a definirci figli della luce (cf. Lc 16,8) che ci distinguiamo dai figli delle tenebre e dalla loro scaltrezza per la nostra fedeltà. In definitiva, è san Paolo che esprime mirabilmente i termini del progetto del Padre su noi cristiani, definiti santi nella luce: “…ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce. È lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore, per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati” (Col 1,12-14).

10. L’ultimo spunto tematico che vi offro riguarda il modello di vita che dobbiamo seguire noi cristiani come figli della luce. Anche questa volta affidiamoci a san Paolo che nella Lettera agli Efesini scrive: “Un tempo infatti eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. Cercate di capire ciò che è gradito al Signore. Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto, ma piuttosto condannatele apertamente. Di quanto viene fatto da costoro in segreto è vergognoso perfino parlare, mentre tutte le cose apertamente condannate sono rivelate dalla luce: tutto quello che si manifesta è luce. Per questo è detto: «Svégliati, tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà»” (Ef 5,8-14). Inoltre, il discernimento tra i figli della luce e quelli delle tenebre non può che passare attraverso il criterio della carità con i fratelli: “Chi dice di essere nella luce e odia suo fratello, è ancora nelle tenebre. Chi ama suo fratello, rimane nella luce e non vi è in lui occasione di inciampo. Ma chi odia suo fratello, è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi” (1Gv 2,9-11). Inoltre, noi cristiani, divenuti discepoli del Risorto che riflettono la luce divina di cui sono depositari, siamo chiamati a vivere la stessa missione del Cristo come “luce del mondo” (cf. Mt 5,14). Teniamo presente anche che l’ultimo esito della vocazione cristiana è segnato dalla virtù della speranza e si compirà nello splendore del regno dei giusti (cf. Mt 13,43), nella Gerusalemme celeste, splendente della gloria divina (cf. Ap 21,23). Là, contempleremo il volto di Dio, totalmente illuminati dalla sua intramontabile luce, secondo la profezia dell’Apocalisse: “Vedranno il suo volto e porteranno il suo nome sulla fronte. Non vi sarà più notte, e non avranno più bisogno di luce di lampada né di luce di sole, perché il Signore Dio li illuminerà. E regneranno nei secoli dei secoli” (Ap 22,4-5).

Conclusione

11. Fin dalla sua nascita, ciascuno di noi è chiamato a venire alla luce con in bagaglio un progetto da realizzare; nel corso della nostra esistenza siamo chiamati ad un discernimento che si concretizza in un vedere la luce e con il fine di vivere nella luce. È vero dobbiamo anche fare i conti con il buio. Capaci di vedere ed indagare le cose tangibili e materiali, spesso siamo incapaci di vedere dove vada il mondo e da dove venga. Dove vada la stessa nostra vita. Che cosa sia il bene e che cosa sia il male. Il buio su Dio e il buio sui valori sono la vera minaccia per la nostra esistenza e per il mondo in generale. Se Dio e i valori, la differenza tra il bene e il male restano nel buio, allora tutte le altre illuminazioni, che ci danno un potere così incredibile, rischiano di tramutarsi in minacce che mettono in pericolo noi e il mondo. Ma, in Cristo Risorto la vita è più forte della morte, il bene è più forte del male, l’amore è più forte dell’odio, la verità è più forte della menzogna, la luce è più forte del buio. Il buio dei giorni passati è dissipato nel momento in cui Gesù risorge dal sepolcro e diventa, Egli stesso, pura luce di Dio. Egli ci attira tutti a sé nella nuova vita da Risorto e vince ogni forma di buio. Egli è il nuovo giorno di Dio, che vale per tutti noi. In questa Quaresima lasciamoci illuminare dal mistero di Cristo morto e risorto, e saremo per il mondo luce, sale e vita. È Cristo che l’umanità ha bisogno di incontrare, accogliere e seguire se vuole uscire dalle tenebre dell’egoismo, dalla conflittualità e dall’odio e lasciarsi invece rivestire dalla luce della fede, della speranza e della carità. Preghiamo il Signore di donarci la sua luce e preghiamoLo di renderci portatori della sua luce, affinché lo splendore del volto di Cristo entri nel mondo (cf. Lumen Gentium, 1): “Signore, Tu sei la mia luce: senza di te cammino nelle tenebre, senza di Te non posso neppure fare un passo, senza di te non so dove vado, sono un cieco che guida un altro cieco. Se Tu mi apri gli occhi, Signore, io vedrò la tua luce, i miei piedi cammineranno nella via della vita. Signore, se Tu illuminerai, io potrò illuminare. Tu fai di noi la luce del mondo” (Preghiera, Card. Carlo Maria Martini). Preghiamo con devozione anche la Madonna, Madre della Luce; preghiamoLa in questa Quaresima con il Santo Rosario, in particolare preghiamo i misteri della luce. Scrisse san Giovanni Paolo II che “passando dall’infanzia e dalla vita di Nazareth alla vita pubblica di Gesù, la contemplazione ci porta su questi misteri che si possono chiamare, a titolo speciale, misteri della luce. In realtà, è tutto il mistero di Gesù che è luce. Egli è la luce del mondo” (Gv 8,12).

Trieste, 2 marzo 2022, Mercoledì delle Ceneri