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22° di Episcopato e saluto alla diocesi


DIOCESI DI TRIESTE


RINGRAZIAMENTO AL SIGNORE PER I 22 ANNI DI EPISCOPATO


✠ Giampaolo Crepaldi


Sant’Antonio Taumaturgo, 19 marzo 2023



Carissimi sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, fedeli tutti in Cristo Signore, predragi bratje in sestre!

1. Per la quarta domenica di Quaresima la Chiesa ci propone il brano evangelico della guarigione del cieco nato la cui malattia, nella mentalità del tempo, veniva considerata come conseguenza di un peccato, commesso o da lui o dai suoi genitori. I discepoli, infatti, chiesero a Gesù: “Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori?” (Gv 9,2). Nella miracolosa guarigione di quello sventurato, Gesù indicò un approccio diverso e nuovo: in primo luogo, con la sua venuta, era andato incontro alle miserie dell’uomo con la misericordia che si commuove di fronte alle sofferenze umane; in secondo luogo, segnalava ai suoi interlocutori che esiste un insegnamento molto importante e superiore. Chiediamoci: di che insegnamento si trattava nel miracolo del cieco nato? Questo: Gesù è venuto ed è tra noi per salvarci, dissipando le tenebre del peccato e donandoci la luce della fede e della grazia. Per questo motivo la Chiesa, fin dal terzo secolo, ha utilizzato il brano giovanneo del cieco nato nella catechesi battesimale della Quaresima per preparare coloro che avevano deciso di diventare cristiani. Come il cieco guarisce dopo l’immersione nelle acque di Siloe – Siloe era una piscina posta nei pressi del Tempio –, così Gesù Cristo continua ad illuminare anche noi per mezzo del sacramento dell’acqua, il Battesimo. Il cieco nato riceve due grazie: la prima è quella della vista; la seconda è quella della fede. Infatti, dopo essere stato miracolato, alla domanda di Gesù: “Tu credi nel Figlio dell’uomo?” (Gv 9,38), ovvero in Gesù, egli rispose: “Credo Signore!” (Gv 9,38). La vista materiale che aveva ottenuto era segno di un dono ancora più grande che aveva ricevuto per l’anima: il dono della fede.

2. Predragi bratje in sestre, vi sono particolarmente grato per voluto prendere parte a questa santa Eucaristia, per ringraziare il Signore per i miei 22 anni di episcopato – sono stato ordinato vescovo, infatti, il 19 marzo 2001, solennità di San Giuseppe, nella Basilica di San Pietro da San Giovanni Paolo II –, 13 dei quali vissuti qui a Trieste. Vi confesso che sono molti e ben fondati i motivi della mia personale gratitudine al Signore Gesù: Lui ha supplito alle mie deficienze e mancanze; Lui mi ha sempre perdonato con larghezza di cuore; Lui mi aiutato quando le difficoltà e i problemi mi sembravano insormontabili e insolvibili; Lui mi ha sempre indicato la strada con il sostegno della sua Parola e la forza dei suoi Sacramenti, soprattutto dell’Eucaristia quotidiana; Lui mi ha sempre detto di fidarmi e affidarmi alla Chiesa che, nonostante le tante magagne dei suoi membri, resta Madre premurosa e solida; Lui mi ha insegnato ad amare questa Città, la sua bellezza, le sua storia tortuosa e sofferta, il suo popolo, soprattutto i suoi poveri ed emarginati; Lui mi ha convinto a non temere la Sua Croce, perché stat Crux dum volvitur orbis, la Croce resta mentre il mondo passa. Oggi sono contento che abbiate voluto associavi a me in questo rendimento di grazie al Signore Gesù: Lui è tutto! E quando le nostre vite e anche la nostra Chiesa diocesana – nonostante le tante povertà e insufficienze che ne rallentano il cammino – sono in Lui, per Lui e con Lui, allora possiamo essere pieni di conforto e di speranza, sapendoci salvi nel suo amore e nella sua grazia.

3. Carissimi fratelli e sorelle, tra poco più di un mese giungerà tra noi il nuovo vescovo, don Enrico Trevisi – che ringrazio di cuore per la bella lettera che mi ha fatto avere per questa circostanza – il quale, con indovinata sensibilità spirituale, ha posto sotto il suo stemma episcopale il seguente versetto preso dalla Lettera agli Ebrei (cf. 12,2): admirantes Iesum, con lo sguardo fisso su Gesù. Il senso è quello di mettere gli occhi su Gesù, di non staccarli da Lui perché, diversamente, ci perdiamo e non arriviamo ad essere partecipi della sua stessa vita. Ecco carissimi, se lo sguardo resta fisso nella contemplazione fiduciosa del volto di Gesù, il nostro personale cammino e quello della nostra Chiesa avranno un fine e un senso compiuti. Ieri, con profonda emozione, ho benedetto la statua di Mons. Antonio Santin, posta ora nella pubblica piazza di fronte a questa chiesa dedicata a Sant’Antonio Taumaturgo. Chiudo questa mia omelia, facendo mia una pagina del diario del grande vescovo, scritta nel 1964, dove traccia un bilancio del suo episcopato. Queste le sue parole: “Trentadue anni. Sono molti, sono pesanti. So, sono passati anno per anno, non mi sono venuti addosso assieme... Dio... mi dia costanza e coraggio. Mi faccia suo... Come Egli mi vuole. E anche come io umilmente e con tanto amore voglio”. La Vergine Maria, attraverso la sua materna intercessione, conceda a me e a voi la grazia di far risuonare nelle nostre anime le parole del vescovo Santin: Mi faccia suo... Come Egli mi vuole. E anche come io umilmente e con tanto amore voglio!