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Giornata nazionale per la Vita


DIOCESI DI TRIESTE


Giornata nazionale per la Vita


✠ Enrico Trevisi


chiesa di sant'Elena dell'Ospedale Burlo Garofolo, 4 febbraio 2024



Cari fratelli e sorelle,
Amati fratelli e sorelle: Ljubljeni bratje in sestre

Giobbe è l’emblema dell’uomo che si pone interrogativi sulla vita e sul dolore. Perché? Perché le mie lunghe notti di affanno, in cui sono stanco di rigirarmi? Perché i miei giorni scorrono e svaniscono senza un filo di speranza? (cfr. Gb 7,1-4.6-7).
Il messaggio dei vescovi per questa Giornata per la Vita ci pone una sequenza di “vite negate”, di persone fragili che spesso sono guardate con sospetto, lasciate ai margini, giudicate senza comprendere il loro affanno. Vite che per le più diverse ragioni sono messe a repentaglio…
Ecco la lunga citazione, che evidentemente non posso commentare: “La vita del nemico – soldato, civile, donna, bambino, anziano… – è un ostacolo ai propri obiettivi e può, anzi deve, essere stroncata con la forza delle armi o comunque annichilita con la violenza. La vita del migrante vale poco, per cui si tollera che si perda nei mari o nei deserti o che venga violentata e sfruttata in ogni possibile forma. La vita dei lavoratori è spesso considerata una merce, da “comprare” con paghe insufficienti, contratti precari o in nero, e mettere a rischio in situazioni di patente insicurezza. La vita delle donne viene ancora considerata proprietà dei maschi – persino dei padri, dei fidanzati e dei mariti – per cui può essere umiliata con la violenza o soffocata nel delitto. La vita dei malati e disabili gravi viene giudicata indegna di essere vissuta, lesinando i supporti medici e arrivando a presentare come gesto umanitario il suicidio assistito o la morte procurata. La vita dei bambini, nati e non nati, viene sempre più concepita come funzionale ai desideri degli adulti e sottoposta a pratiche come la tratta, la pedopornografia, l’utero in affitto o l’espianto di organi. In tale contesto l’aborto, indebitamente presentato come diritto, viene sempre più banalizzato, anche mediante il ricorso a farmaci abortivi o “del giorno dopo” facilmente reperibili. Tante sono dunque le “vite negate”, cui la nostra società preclude di fatto la possibilità di esistere o la pari dignità con quelle delle altre persone”.
In questi giorni guardavo e ascoltavo il racconto di nonni e di genitori e di come la loro vita è segnata dall’arrivo di piccoli che sorprendono e donano vitalità e gioia. Ridanno senso alle fatiche, rilanciano su questioni esistenziali per le quali fermarsi e riflettere. I piccoli che sorprendono perché ci dicono il valore della vita, loro e nostra. Ci impegnano a fermarci, ammirati e sorpresi, per il valore che è la vita.
Nel Vangelo troviamo che Gesù riabilita una malata, la suocera di Pietro, e la reimmette nelle relazioni familiari e sociali, addirittura nel servizio che nella seconda lettura abbiamo colto essere una cifra interpretativa dell’apostolo, di vive il Vangelo ed evangelizza.
A volte sono i malati che ci sorprendono e ci insegnano il valore della vita. Ricordo con ammirazione malati gravi che andandoli a trovare si preoccupavano di come stavano gli altri: capaci ancora di empatia, di affetto gratuito, di amore per il prossimo: loro pazienti gravi eppure capaci di elargire compassione, di spargere consolazione… Un signore anziano, sempre in questi giorni, mi diceva della sua gratitudine verso l’ospedale in cui era stato ricoverato. Non la facile sequela di lamentele (talvolta motivate, non generalizziamo) ma la sottolineatura di un misto di competenza e di umanità in ogni persona incontrata: dai medici agli infermieri al personale ausiliario.
Papa Francesco ricorda che «il grado di progresso di una civiltà si misura dalla capacità di custodire la vita, soprattutto nelle sue fasi più fragili» (Discorso all’associazione Scienza & Vita, 30 maggio 2015).
La fragilità della vita la constatiamo continuamente: basta guardarci attorno. E anche quando si è in una fase che pone al riparo perché ci si sente giovani, belli e sani, magari anche vincenti, appagati, invidiati e produttivi… sappiamo che oggi si teme la precarietà sempre incombente. È facile misurarsi con la fragilità. È facile ritrovarsi vulnerabili: la malattia propria o di un amico o parente; un incidente o una calamità naturale; la violenza e cattiveria che talvolta avvelena le città, i popoli, le famiglie… Anche il semplice scorrere degli anni porta con sé immancabilmente la vulnerabilità dell’età: e ci si trova nella cerchia delle vite fragili quando spesso, fino a quel momento, si è tenuto lontano lo sguardo, il pensiero, l’attenzione verso chi faticava in qualcuna delle tante forme di fatica del vivere.
Si tratta di scegliere se e come essere dalla parte della vita fragile, che improvvisamente potrebbe essere la vita fragile mia, o dei miei genitori o coniuge o figli… Per un cristiano il Vangelo è buona notizia, sempre. Paolo nella Prima lettera ai Corinzi (1Cor 9,16-19.22-23) afferma di essersi fatto servo di tutti: “Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno”. Quante volte ci si spende con generosità, fino quasi ad esaurirsi. Fino quasi a venire divorati da quest’ansia di soccorre e condividere i dolori e le fatiche delle persone fragili. Pensiamo a un genitore che ha un figlio disabile (e magari ci viene da commentare: sta esagerando, deve prendersi cura di sé); pensiamo ai medici durante la fase acuta della pandemia Covid 19; pensiamo ai medici negli ospedali di guerra o ai missionari nei popoli della miseria di tanti Paesi poveri; pensiamo a chi si impegna per i migranti. L’altra sera una donna anziana mi si accosta e in disparte mi dice del suo dolore, quando alla sera lei è in casa al caldo e pensa ai poveretti che sono al freddo al silos. Quasi con affetto di una nonna per i nipoti mi porge la sua offerta: “è quello che posso…” aggiunge con discrezione e vera carità cristiana. E poi il distacco: “ora devo andare, perché ho a casa mia marito malato che mi aspetta”. Oppure ricordo qualche giorno fa la commozione di un parroco che mi racconta di quel ragazzo disabile che abbiamo lì accanto e della sua mamma che ora ha scoperto di avere una grave malattia invalidante… e della latitanza delle Istituzioni.
Come non soccombere di fronte al dolore di così tante vite fragili? Come sopportare la nostra testimonianza fragile e apparentemente inadeguata, insufficiente? Dove trovare le energie per ridare speranza (senza vendere illusioni e menzogne) ai genitori che soffrono per i figli malati? Come farci carico di una donna, magari lasciata sola, che si trova con una gravidanza non prevista, non desiderata? Come accompagnare un malato cronico nel suo calvario continuo di avere sostegni e aiuti e quando la burocrazia sembra frapporsi e scoraggiare e dunque abbandonarsi al dire: “non ce la faccio più, meglio morire!”?. Di fronte a questi interrogativi dobbiamo aiutarci… in una santa alleanza per custodire e prenderci cura di noi e delle persone fragili.
Noi vediamo nel Vangelo (Mc 1,29-39) che Gesù è accerchiato da queste vite fragili. Non si sottrae. È pieno di attenzione e cura, di compassione. Ma dove trova le energie per non scadere nella routine stanca di chi affoga nel dolore che sempre prevale? Come non cadere nell’abitudine di chi tratta la vita fragile senza più compassione e attenzione per il dolore unico di chi si ha davanti?
“Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava”. Gesù sa rigenerarsi per evitare che l’affanno del dolore lo debiliti nel suo servizio, nella sua cura, nella sua compassione verso chi è piagato. È l’augurio che ci facciamo: saperci rigenerare nel Signore per una vita in cui sappiamo perseverare, pur accogliendo i nostri limiti di quel che sappiamo fare e possiamo fare, per prenderci cura dei fratelli e sorelle che incontriamo sulla nostra strada.
Questo il mio augurio: medici infermieri, uomini e donne che per professione, come volontari , come vicini di casa… sanno essere segni della premura di Dio per chi è fragile, segni dell’amore di Dio che non si scorda di nessuno, e che – anche tramite noi – vuole arrivare a tutti.