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Franco Basaglia oggi: un pensiero necessario


DIOCESI DI TRIESTE


Franco Basaglia oggi: un pensiero necessario
Indirizzo di saluto al convegno


✠ Enrico Trevisi


Teatro Miela, 11 marzo 2024



Io non sono titolato a parlare di Franco Basaglia. Ma sono contento di essere qui. In altre occasioni ho avuto modo di dire perché quello che ha innescato Basaglia in qualche modo l’ho intercettato nella mia vita di prete che spesso mi ha portato al contatto, alla relazione con diverse persone (di tutte le età) con disturbi psichiatrici e anche a collaborare con alcune realtà del territorio che si prendevano cura di persone con problemi di salute mentale.

Una studiosa canadese (Jennifer Nedelsky) diceva che quando si incontra una persona non bisogna chiedere che lavoro fa, ma di chi si prende cura. Lei propone una riduzione dei tempi di lavoro ma che tutti si dedichino ad attività di cura. Oggi talvolta ci si prende cura del gatto o del cane e spesso perché siamo diventati analfabeti nel prenderci cura gli uni degli altri. Analfabeti nelle relazioni interpersonali: per questo esse sono spesso piene di violenza, di prepotenza (pensiamo ai femminicidi) o viceversa ci si ritrova soli, in un individualismo esasperante.

Oggi è di moda fare indici con i quali misurare tutto, anche la felicità. E tra i vari parametri che concorrono ad essere felici non ci si mette solo il reddito, la salute (o aspettativa di vita alla nascita), la percezione di libertà nelle proprie scelte, l’assenza di corruzione… ma anche la rete personale di sostegno sociale (dunque le relazioni) e la generosità, cioè la disponibilità a fare donazioni… C’è più felicità là dove si ha più possibilità di passare tempo gratuito con gli amici e i parenti rispetto a dove lo stress produttivo e consumistico moltiplica le relazioni funzionali a discapito di quelle familiari e amicali. C’è più felicità dove si vive la gratuità (anche di cura reciproca) e non solo la smania del produrre-accumulare-consumare.

Angus Deaton, premio Nobel dell’economia 2015, insieme ad Anne Case hanno scritto un libro (Morti per disperazione e il futuro del capitalismo) in cui parlano delle tre cause di decessi autoinflitti che stanno colpendo gli americani bianchi non ispanici (che le indagini descrivono appartenenti alla classe dei poco istruiti, con salari bassi, tassi di nuzialità decrescente e allontanamento dalla religione): suicidi, overdose di oppioidi, ed epatopatia alcolica. Si arriva a dire che negli Stati Uniti se uno sta male non c’è una persona che si prende cura di lui, ma gli si dà un farmaco. L’uomo è un cercatore di senso e oggi viviamo nella disperazione (economica, sociale o psicologica) perché c’è una perdita di senso del vivere.

In Gesù che si prende cura di ogni persona fragile (dal lebbroso al paralitico al peccatore) vedo una traccia che deve incuriosire tutti. Questa è la sua rivelazione: c’è un Dio che ha cura di me e allora io ho la libertà di prendermi cura del fratello fragile. E ciò restituisce valore e senso alla mia vita.

Come dice Massimo Recalcati, quello che nella cultura antica era il lebbroso oggi è il malato di mente, bandito ed escluso… ma che invece va riportato dentro le relazioni e dentro la comunità.

Ecco il problema: prenderci cura gli uni degli altri, anche dei più esclusi che ci mettono un qualche timore, come i malati psichiatrici. Accettare la fragilità non per restarne vittime ma per instaurare relazioni di cura e di prossimità. In questo ho colto che Franco Basaglia ha inaugurato un passaggio importante, un’eredità che deve generare altri frutti.

Buon convegno. Non sia solo una celebrazione del passato ma sia anche un cammino per generare altri frutti.