| KATEHEZA |
| BOGOSLUŽJE |
| POROKE |
| DUHOVNOST IN IZOBRAŽEVANJE |
| KULTURA |

CULTURA

In libreria


Venite in disparte e riposatevi un poco

Giovanni BOER, Claudia KOLL

Venite in disparte
Sono onorato di segnalare la pubblicazione Venite in disparte e riposatevi un poco del nostro sacerdote diocesano don Giovanni Boer e di Claudia Koll. Il volume contiene i commenti ai Vangeli delle Domeniche e delle Solennità dell’anno liturgico B e segue quello già pubblicato per l’anno A.
Si tratta di un sussidio prezioso che, con linguaggio accessibile, ci consente di far tesoro delle inestimabili ricchezze delle Parole di Gesù e, nello stesso tempo, di sviluppare quel rapporto personale di amore e di comunione con Lui che è la Via, la Verità e la Vita per ciascuno di noi.
Il libro ha un obiettivo che l’Autore esplicita con queste parole: “… per comprendere che Dio è bello, attraente, affascinante, ricco: non ci si sazierebbe mai di diffondersi nella Sua conoscenza” (p.13).
Gli fa eco Claudia Koll che scrive: “Ciò che ritengo veramente importante è raccontare le meraviglie che il Signore ha compiuto e continua a compiere nella mia vita. Quanto sia meraviglioso camminare con Lui”.
Tenere questo libro tra le mani, leggerlo, meditarlo è come avere una bussola che ci guida al Vangelo e, dal Vangelo, all’incontro liberante con il Signore Gesù.

✠ Giampaolo Crepaldi

Giovanni BOER, Claudia KOLL, Venite in disparte e riposatevi un poco. Commenti ai Vangeli delle domeniche e delle solennità dell’Anno B, Tau editrice, 2020.

Descrizione
Questi commenti al Vangelo sono un aiuto prezioso per chi desidera condurre, durante l’anno liturgico, la preghiera personale. I commenti esegetici e gli approfondimenti storici e teologici di P. Giovanni Boer si mescolano con le riflessioni e gli spezzoni della testimonianza di Claudia Koll. Un libro scritto a quattro mani, da leggere un poco alla volta, in disparte con Gesù, per “riposare un poco”.


La pittura a Trieste sul finire del XII secolo. Ascendenze e paralleli

Giovanni LUCA

La pittura a Trieste sul finire del XII secolo. Ascendenze e paralleli
La monografia si propone di trovare le fonti artistiche dei cicli pittorici del Sacello di S. Giusto a Trieste e di S. Maria Assunta a Muggia Vecchia, una volta individuata la loro peculiarità, consistente nel carattere spiccatamente scenico e dinamico delle composizioni, già riconosciuto dalla letteratura specialistica proprio dell’illustrazione miniata.
Attraverso una direttrice esso conduce a singolari codici di area sassone, dichiarati portatori della plurisecolare tradizione culturale carolingia. Includendo altresí gli affreschi della cripta nella basilica patriarcale di Aquileia, modello generante dei cicli giuliani, si arriva alle illustrazioni delle commedie di Terenzio, tra cui quelle del manoscritto di Oxford portano ancora alla miniatura franco-britannica, il cosiddetto Channel style, fiorito dalla metà circa del XII secolo. Simile impostazione miniatoria denotano gli inestimabili frammenti musivi della Basilica Ursiana di Ravenna, testimoni unici per l’inizio del XII secolo di questa lingua pittorica. Sembrano quasi l’ideale coronamento della miracolosa stagione produttiva in area beneventana e cassinese, illustremente rappresentata nell’XI secolo dal gruppo degli Exultet e dai codici miniati scaturiti dal grande progetto dell’abate Desiderio; con radici risiedenti nella cultura romana e in quella longobarda.

Giovanni LUCA, La pittura a Trieste sul finire del XII secolo. Ascendenze e paralleli, Editreg, Trieste 2020.


L’Arcobaleno di Monte Grisa e L’Ape di Monte Grisa

Fabia PERPER

I libretti L’Arcobaleno e L’Ape di Monte Grisa sono dedicati ai bambini per far conoscere in forma di fiaba il significato e la storia del Tempio Nazionale di Maria Madre e Regina di Monte Grisa a Trieste.
Il linguaggio delle fiabe infatti permette al bambino di scoprire i fondamenti spirituali dell’esistenza dell’uomo e della fede sperimentandoli direttamente durante la lettura o l’ascolto, senza il bisogno di spiegazioni teoriche ed intellettuali.
La lettura dei due racconti è adatta ai bambini di età scolare tra i 6 e i 10 anni, ma il loro contenuto di pace e di amore e le immagini delicate che li accompagnano li rendono fonte d’ispirazione per i lettori di tutte le età.

L’ARCOBALENO DI MONTE GRISA
L’Arcobaleno di Monte Grisa è una fiaba di carattere storico che ricorda gli anni delle guerre mondiali dello scorso secolo e della sofferenza causata dalle sanguinose lotte svoltesi in queste terre, punto di incontro di popoli e di etnie che purtroppo spesso in passato si è trasformato in terreno di scontro.
I colori dell’arcobaleno ci fanno da guida, ci riportano con altri occhi a quel tempo doloroso, ci raccontano del Vescovo di Trieste Monsignor Antonio Santin, del suo voto alla Madonna e di come si sia arrivati alla costruzione del Tempio di Monte Grisa. Infine ci accompagnano al cuore della missione del Santuario, in cui possiamo trovare la Madonna di Fatima, che ci invita a ricordarla e a pregarla per convertire il Male in Bene e diffondere la Pace tra le genti, grazie all’Amore di Dio.

L’APE DI MONTE GRISA
In questo libretto un’ape smarrita nel buio della notte si rifugia nel Tempio di Monte Grisa perché assomiglia al suo alveare. Lo smarrimento dell’ape è lo smarrimento, la solitudine, l’incomprensione che ognuno di noi può sperimentare nella propria vita.
Ma per fortuna c’è la salvezza, la luce della Fede che porta all’Amore di Dio.
La Madonna ascolta con pazienza e risponde alle domande dell’ape, che così da Lei impara a poco a poco a non smarrirsi più e a gioire delle Grazie che ogni giorno ci vengono donate da Dio.
I libretti illustrati sono disponibili gratuitamente nel Tempio Nazionale di Maria Madre e Regina di Monte Grisa di Trieste.

Padre Luigi Moro, Rettore del Tempio Nazionale “Maria Madre e Regina” di Monte Grisa
con la collaborazione dell’autrice Fabia Perper


Paolo VI. Parole ai presbiteri

Ettore MALNATI

Paolo VI
Prefazione
Di che cosa hanno bisogno oggi i preti?
Anche se i fedeli sono diminuiti, non sono diminuite le attese o le pretese.
Molti, che frequentino o no la vita delle comunità cristiane, hanno una loro immagine del prete, hanno una loro immaginazione su quello che i preti fanno e di quello che dovrebbero fare. Per combinazione questo immaginario non coincide mai con il prete che hanno di fronte: trae la sua origine dai fatti di cronaca oppure dalla letteratura e dai film, oppure da ricordi d’infanzia rielaborati della creatività mitologica della memoria. Perciò i preti concreti si sentono investiti dalle peggiori accuse, per difetti e delitti in cui non riescono a riconoscersi, oppure si sentono destinatari di attese come se fossero tenuti ad essere onnipotenti, onniscienti, onnipresenti. Non meraviglia che si diffonda quel grigiore un po’ rassegnato e un po’ risentito che si chiama malumore: le aspettative deluse, la contestazione dei pregiudizi, le prestazioni insoddisfacenti danno origine a elenchi interminabili e noiosissimi dei “dovreste fare, dovreste pensare, dovreste sapere, dovreste andare …!”.
Neppure i Vescovi risparmiano appunti all’elenco dei “si deve” e quindi, specie quando si trovano tra loro, si esercitano a elaborare percorsi educativi più adeguati, eventualmente prolungando gli anni di seminario, moltiplicando le esperienze, sfiancando l’entusiasmo e la buona volontà di qualche giovane che si affaccia al seminario con numeri sconcertanti di esami, scadenze incalzanti di date, richieste insistenti di verifiche. Di quante competenze, conoscenze, avvertenze hanno bisogno i preti di questo tempo!
Non è detto che i preti non ci mettano del loro per lasciare a desiderare, per far emergere nell’esercizio del ministero più gli aspetti spigolosi del carattere che i tratti amabili del buon pastore, nel dire parole logorate dall’inerzia più che la parole consolanti come la rugiada del mattino, le parole incisive come la spada tagliente, nel pretendere un ruolo d’altri tempi piuttosto che servire con modestia e sacrificio.
Ma don Ettore Malnati ha pensato che i preti abbiamo bisogno delle parole del Santo Papa Paolo VI e perciò offre questa antologia di discorsi. Leggendo questi testi, sempre così intensi e accurati, mi sono confermato nella persuasione che i preti abbiano bisogno d’altro, rispetto a quello che si raccomanda o si pretende.
I preti hanno bisogno di stima. Esprimono il meglio di sé non quando sono tesi e guardinghi per difendersi dalle critiche, ma, come tutti gli umani, quando avvertono intorno a sé l’atteggiamento benevolo che apprezza la loro presenza, che riconosce l’essenziale della loro missione. Le parole di Paolo VI si possono forse anche riassumere così: una lunga, convinta, commovente attestazione di stima per i preti a cui si rivolge.
I preti hanno bisogno di rassicurazione. Il logorarsi del prestigio che la società riconosce, la molteplicità scomposta delle pretese della gente, la alluvione di accuse e insinuazioni che traggono argomento da confratelli indegni per screditare tutto il presbiterio rendono insicuri, alimentano l’impressione di essere funzionari impopolari di una istituzione impopolare, promotori di un prodotto che non ha mercato. Negli anni successivi al Concilio Vaticano II una delle questioni diffuse riguardava la questione generica sulla “identità del prete” (o del sacerdote, come preferiva dire Paolo VI). E le parole ai presbiteri di Paolo VI offrivano la rassicurazione dei contenuti fondamentali della dottrina tradizionale della Chiesa. Oggi altri fattori rendono insicuri e problematici i preti. Credo però che le parole di Paolo VI contribuiscano anche oggi ad offrire rassicurazione indicando le fondamenta solide di una vocazione e di una missione che non possono certo immaginarsi storie di successi, di facile popolarità, di applausi universali. Eppure le radici evangeliche, la relazione personale con il Signore Gesù, la compassione per la gente alla quale sono destinati, la esperienza della pienezza di umanità che si trova nel fare della vita un dono sono parole che fanno bene e offrono le buone ragioni per affrontare con fortezza e serenità il ministero per il nostro tempo.
I preti hanno bisogno di correzione, amorevole, autorevole, ferma e chiara. Abituati a parlare da una posizione che non ammette interruzione o contestazione, il prete rischia di pensare di avere sempre ragione. Immerso fino allo sfinimento nelle iniziative, nella organizzazione, nelle relazioni entro gli spazi ecclesiastici, il prete rischia di immaginare che il mondo finisca dove finiscono le mura della parrocchia. La consuetudine a decidere negli ambiti di competenza con una procedura in sostanza inappellabile, anche se spesso criticata e talora francamente criticabile, espone il prete al rischio di abusare del ruolo e di strumentalizzare le persone. Richiesto di parlare tanto spesso, il prete è esposto alla tentazione di una fretta che non sa ascoltare, di una certa ripetitività che non si lascia istruire né dai libri né dalla vita, né dagli incontri. È quindi opportuno offrire ai preti parole che possono essere ricevute come spunti per una correzione. Paolo VI si fa ascoltare perché si capisce che le sue parole vengono da un affetto vero, da una stima convinta e da una trepidazione fondata per la vita e il ministero dei preti.
I preti, credo, hanno bisogno di molto altro, anche se io devo dire che ho sempre avuto più da imparare che da insegnare, più da ricevere che da dare nel rapporto con i preti.
Nelle parole di Paolo VI si trovano però risposte al bisogno di stima, di rassicurazione e di correzione: può quindi essere un buon servizio questo libro composto per celebrare il centenario della ordinazione presbiterale di Giovanni Battista Montini.

✠ Mario Delpini
Arcivescovo di Milano

Ettore Malnati, Paolo VI. Parole ai presbiteri, Morcelliana editrice, 2020